Un mondo a parte – Recensione

Con Un mondo a parte Antonio Albanese ci porta in un paesino nel cuore dell’Abruzzo, che si rifiuta si scomparire.

Michele è un insegnante di scuola elementare “nordico”, da 35 anni in servizio a Roma, stanco dell’ambiente, dove avverte palpabile il disinteresse verso il suo lavoro, subisce la tracotanza dei genitori, la mancanza di protezione da parte del Sistema.

Chiede un trasferimento momentaneo in altra sede e viene accontentato. In base alle sue preferenze (si tratta di uomo impegnato sul versante ecologista, da bravo borghese cittadino), lo mandano in una scuola elementare a Rupe (nome fittizio), minuscolo borgo in fase di spopolamento nel Parco Nazionale d’Abruzzo.

Arriva nel mezzo di una bufera di neve, è imbevuto di ideali nobili, di rispetto nei confronti della natura, si incanta per ogni animale che incontra, ma è incapace anche di accendersi una stufa a legna.

Viene guardato con sconsolato compatimento dall’eroica vice-preside Agnese, donna rimasta quasi da sola a mandare avanti la piccola classe di 7 allievi, tutti insieme dalla prima alla quinta elementare.

Antonio Albanese Virginia Raffaele

Un eroica vice-preside e un volonteroso insegnante.

Ma anche questo minuscolo punto di aggregazione sta per essere chiuso, condannando a morte sicura il borgo, dove vivono poco più di 300 persone, che si conoscono tutte fra loro.

Questa è la storia raccontata dal film Un mondo a parte, distribuito da Medusa, diretto da Riccardo Milani e scritto insieme a Michele Astori, al suo quinto film con Albanese (l’ultimo è stato Grazie ragazzi), che torna nelle zone dell’Abruzzo dopo il suo film del 2003 Il posto dell’anima.

Ma è anche la storia vera cui stanno andando incontro uno dopo l’altro i piccoli e piccolissimi borghi italiani, quelli incensati da programmi tv, riviste e turismo di élite, del cui destino però nessuno più si interessa, finite le vacanze.

Antonio Albanese Virginia Raffaele Alessandra Barbotti

Chi non sa, insegna…

Sempre meno nascite, i ragazzi appena possono se ne vanno, i vecchi continuano a morire e i borghi a spopolarsi. Luoghi ancora bellissimi, con la natura quasi incontaminata, diventano delle ghost town.

Ma Michele e Agnese non si arrendono e, con italica ingegnosità, riescono a vincere la terribile burocrazia, per la quale a contare sono solo i numeri, che se ne infischiano di quello che c’è dietro.

Un mondo a parte è una commedia garbata, nella quale si sorride spesso per la simpatia che emana da tanti personaggi e da Antonio Albanese, attore amatissimo, che qui dopo il tragico Cento domeniche, si concede un messaggio ottimista.

Antonio Albanese Virginia Raffaele

Una piccola comunità che non vuole perdersi.

Che è in linea con tanti dei suoi personaggi precedenti, uomini civili, perbene, che si rifiutano di arrendersi al Nulla che avanza, omologandosi. Perché il problema è questo (ed è il fulcro della storia): singolarmente non contiamo nulla, siamo destinati a perdere di fronte al Sistema.

Solo se ci alleiamo, in nome di un bene comune, qualche speranza c’è. Guai a perdere la voglia di lottare, mai rassegnarsi al peggio. Un mondo a parte potrebbe diventare il mondo di tutti e sarebbe un mondo migliore.

Virginia Raffaele, che recita spesso in dialetto marsicano, rinuncia a qualunque tentazione comica per interpretare un personaggio “normale”, una donna stanca ed esasperata, ma sempre combattiva. E se in guerra si va come in guerra, lottare contro i Cattivi sarà quel “fine che giustifica i mezzi”.

Antonio Albanese Virginia Raffaele

Virginia Raffaele e Antonio Albanese, due personaggi “normali”.

Sui titoli di coda vedremo tutti i personaggi che popolano il film abbinati al loro vero mestiere e tanti sono proprio abitanti del luogo, il paesino di Opi e Pescasseroli e dintorni, attori per caso, capaci di efficaci caratterizzazioni, compresi i bambini, dei quali si avverte la spontaneità.

Se inizialmente la cifra narrativa sembra più leggera (tutta la parte dell’ambientazione di Michele nel borgo e le sue gaffes) poi il tono diventa più serio, perché si tratta di problemi reali e ben documentati.

Al netto di una non necessaria parentesi (che però porta via meno di 10 minuti sui 113 totali del film) dedicata a un personaggio transgender, ma oggi sembra un passaggio obbligato, il film racconta con dettagli precisi, quasi burocratici, i problemi del luogo.

Come si può ignorare l’importanza di non far morire i piccoli centri abitati e di fornirli dei servizi indispensabili, di renderli appetibili per attività che non siano estranee al territorio, per far sì che non siano abbandonati da chi potrebbe invece costruire lì il proprio futuro, invece di andare a cercare chissà quali lavori chissà dove?

Tenerezza e buone maniere, accettazione e ironia (esilarante il discorso del maestro Michele sulla “restanza”), per un film che sarebbe facile etichettare come “di buoni sentimenti”. Ma questa definizione non dovrebbe avere un significato negativo, solo perché viviamo in un’epoca in cui i valori di un tempo sono diventati oggetto di dileggio e disprezzo. Sembra una storia ottocentesca, sembra Cuore? Forse sì, ma perché no?

Scheda tecnica:

Regia: Riccardo Milani

Cast: Antonio Albanese, Virginia Raffaele, Alessandra Barbotti, Sergio Saltarelli

Distribuzione: Medusa

Genere: commedia, drammatico

Pubblicato da Giuliana Molteni

Vado al cinema dalla metà degli anni ’50 e non ho mai smesso. Poi sono arrivate le serie tv.