Monkey Man – Recensione

Con il film Monkey Man, Dev Patel esordisce alla regia, interpretando una tragica storia di vedetta, un melodramma a forti tinte.

Un tempo il mondo era un Eden bellissimo, verdi foreste tropicali, folte distese di erbe e piante lussureggianti, fiumi di limpide acque, tutti vivevano in armonia.

Così se lo ricorda Kid, quando era un bambino che la mamma adorata conduceva nei boschi tenendolo per mano, raccontandogli fiabe, leggende, cose della natura, mentre gli dei li guardavano benevoli.

Poi qualcosa di orribile è successo, e Kid è finito a fare combattimenti clandestini, con una maschera da scimpanzé, e deve prenderle per contratto. La maschera si ispira al dio Hanuman, un dio-scimmia eroico e leale, ma sul ring lui è solo la Bestia da ammazzare, mentre i suoi avversari hanno nomi che rimandano ai personaggi del Libro della Giungla.

Il mondo dove vive è un inferno, un posto immondo, lurido, avvelenato, abitato da gente bestiale, abbrutita dalla fatica se povera, dai vizi se ricca. E gli dei benevoli se ne sono andati. Kid ha un solo scopo nella vita, la vendetta e quel disegno persegue.

dev patel

Dev Patel immedesimato nel suo devastato personaggio.

Riesce ad arrivare vicino all’uomo responsabile del suo dolore, che è diventato Capo della Polizia, al guinzaglio di un santone che manovra la politica corrotta, fingendo di essere l’inviato di dio per salvare il popolo, mentre pensa solo a sfruttarlo per le sue speculazioni.

E il popolo abbocca. Kid dovrà affrontare un fallimento e una rinascita, conoscendo finalmente il vero se stesso, tornando alle sue radici, in un percorso simile al dio di cui la mamma gli narrava le gesta.

Mentre si svolgono le elezioni, in cui deve vincere il partito “sovranista”, si svolgerà la resa dei conti finale, in cui Kid sarà affiancato da un gruppo di “intoccabili”, i paria dei paria, per di più trans, gli Hijra, decisi finalmente a diventare visibili e a “toccare” chi li ha sempre usati ma ferocemente discriminati.

dev patel

Una delle tante scene di iperbolica violenza.

Monkey Man è la prima regia di Dev Patel, attore che abbiamo visto crescere dai tempi del suo successo con The Millionaire nel 2008. Dirige, scrive, produce e interpreta un film che è un originale incrocio fra un feuilleton e Bollywood, fra Wick e Besson, fra sacro e profano.

Ma con successo, nell’ambito del tipo di film che voleva realizzare: un revenge movie incrociato con temi di rivalsa sociale, che nell’India di oggi sono purtroppo ancora validi (e smettiamola di pensare che corruzione, malaffare, traffico di donne e di droga, povertà, emarginazione e sfruttamento siano problema di paesi lontani).

E parla anche degli antichi valori, tramandati da una religione che anch’essa si è perduta nel marciume della società “civile”.

Sharlto Copley

Sharlto Copley, l’imbonitore occidentale senza anima.

Certo la dose di violenza messa in scena è massiccia, le mazzate sono devastanti, il sangue scorre, gli avversari sono massacrati ma anche Kid va incontro a un progressivo martirio, che ricorda (tanto per restare in argomento) il fotogramma finale proprio di Dogman di Besson.

Del resto contro certa violenza non c’è altra riposta che più violenza, almeno in questo tipo di storie. E la violenza Patel la coreografa bene, sia nelle scene in cui combatte (pur non essendo un professionista), lunghe e articolate, che affronti un singolo o una moltitudine alla Tarantino, sia quando riprende scene di massa, come nel combattimento finale nel corrotto palazzo del potere, rutilante di luci e costumi folkloristici.

Compare Sharlto Copley, nelle vesti del presentatore-imbonitore degli incontri di lotta. Ci pare giusto citare gli attori indiani, qualcuno già visto in altre produzioni che adesso, grazie allo streaming arrivano anche da noi.

monkey man dev patel

Monkey Man, la scimmia che poteva essere un dio.

Il Malvagio supremo è Sikandar Kher, faccia conosciuta, il santone odioso è Makrand Deshpande (era nel cast di RRR). La prostituta triste è la bellissima Sobhita Dhulipala, mentre la cinica proprietaria del bordello di lusso à interpretata da Ashwini Kalsekar.

Vipim Sharma è un trans pietoso, Pitobash il viscido spacciatore che godrà di un piccolo riscatto. Grande uso delle musiche, potenti, quelle originali di Jed Kurzel (Babadook, Macbeth, Assassin’s Creed) e ottima la scelta delle canzoni aggiunte.

Tutto è rappresentato a tinte cariche, la violenza è iperbolica, la malvagità suprema, la corruzione è sovrana, le ingiustizie e i soprusi sono la regola. Anche sul ring è tutta una farsa, una combine, e la folla è facilmente manipolabile.

Così come lo sono le masse dei cosiddetti “cittadini” che si fanno imbonire dal primo furbastro. E non c’è speranza di giustizia, se non per un breve momento.

Il film vede fra i produttori anche Jordan Peele, al quale la sanguinosa storia di vendetta e castigo deve essere piaciuta parecchio e che ha convinto Universal a far uscire il film nelle sale, dopo che Netflix aveva mosso obiezioni sul quadro della società indiana che ne scaturiva, timorosa di indisporsi un mercato immenso.

L’India sta comunque bloccando l’uscita del film nelle sale, per la sua rappresentazione della società e della politica. Anche una favola nera evidentemente può dare fastidio, ai nostri tremebondi tempi.

Scheda tecnica:

Regia: Dev Patel

Cast: Dev Patel, Sharlto Copley, Pitobash, Vipin Sharma, Sikandar Kher, Makrand Deshpande, Sobhita Dhulipala, Ashwini Kalsekar

Distribuzione: Universal Pictures

Genere: azione, thriller

Pubblicato da Giuliana Molteni

Vado al cinema dalla metà degli anni ’50 e non ho mai smesso. Poi sono arrivate le serie tv.