Dogman – Recensione

Con Dogman, Luc Besson torna ai livelli del suo capolavoro Leon, con un film emozionante e un protagonista di sorprendente bravura.

Per secoli gli esseri umani hanno usato in senso negativo il sostantivo “cane”.

Vita da cani. Figlio di un cane. Porco cane. Recitare (cantare) come un cane. Un lavoro fatto da cani. Feroce come un cane rabbioso. Sembri un cane bastonato. Essere una cagna (in senso dispregiativo nei confronti di una donna).

In tanti modi tendiamo a usare in senso spregiativo il termine che indica un animale che ci supera in molti sensi. Leale fino alla morte, coraggioso fino all’incoscienza, sensibile ed empatico ben più degli umani, pronto a ricambiare qualunque affronto con un’incrollabile fiducia. A controbilanciare tante espressioni negative, si dice che il cane è il più fedele amico dell’uomo. Questo è il suo limite.

Il protagonista di Dogman, il nuovo film scritto e diretta da Luc Besson, con cui finalmente torna ai suoi livelli qualitativi più degni, dirà anche: “più ho conosciuto gli uomini, più ho amato i cani”.

Caleb Landry Jones

Con i cani ogni sguardo è un patto.

Doug infatti è nato in una famiglia devastata da un padre degenere, che lo ha vessato ferocemente fin da piccolo, finendo per farlo vivere nelle gabbie in cui teneva i suoi cani, cani da guardia, cani da combattimento, cani ammucchiati senza criterio se non per avere delle vittime su cui sfogare la sua malvagità.

Aggiungere a loro il figlio è stato uno scherzo. Quando finalmente il bambino viene liberato, è già rovinato nel corpo e nello spirito. Passeranno anni di faticosa risalita, in cui Doug intensamente proverà a lasciarsi tutto alle spalle, ma sarà sistematicamente illuso, respinto, emarginato.

Così si rifugerà in un mondo popolato solo dei suoi cani, un esercito pronto a lottare e morire per lui, trovando un fragile approdo in un locale di drag queen (“Ci si traveste, ci si inventa un passato per dimenticare il proprio”).

Caleb Landry Jones

Travestirsi per dimenticarsi.

Apprenderemo la sua storia lungo una serie di flashback, mentre lo sta interrogando da detenuto Evelyn, una psichiatra chiamata a decifrare lo strano personaggio, che al momento dell’arresto era travestito da Marilyn Monroe.

Anche Evelyn è una donna ferita, sola contro un sistema che non garantisce i deboli come dovrebbe. Da questo incontro scaturirà una specie di salvezza per entrambi, a caro prezzo. Ma “non, je ne regrette rien, come canta Edith Piaf”, non mi pento di nulla, né del bene né del male. Dogman, distribuito da Lucky Red, è il miglior Besson dopo Leon, per chi ha amato lui e quel film.

È un apologo triste sull’infinita capacità che ha la malvagità umana di dispiegarsi. È una favola crudele come lo erano quelle originali dei Fratelli Grimm, dove il lieto fine non è mai scontato, è un film Disney in chiave nera, perché ci sono cani che capiscono il linguaggio umano e agiscono di concerto con il loro padrone. Che padrone non è, è un simile che insieme a loro, grazie a loro riesce a sopravvivere in mezzo alle belve che sono gli altri esseri disumani.

Non sarebbe lo stesso film se non ci fosse stato l’incontro magico di Besson con Caleb Landry Jones, attore che tutti ricordano di avere già visto ma non in quale film, che qui trova l’occasione per risplendere, un bellissimo freak che riesce a essere straziante nel suo lucido dolore.

Besson scrive e dirige il suo emozionante film con tutte le sue melodrammatiche iperboli, con la violenza spettacolare, lo splendore delle paillettes e lo squallore dell’abbandono, l’amore e la solitudine, intrecciando le canzoni di Edith Piaf, Eurithmics, Marlene Dietrich, Marilyn alla colonna sonora del fido Éric Serra.

Sì viene così coinvolti, commossi, trascinati in una narrazione sulla sterminata malvagità, sull’indifferente superficialità e la cecità colpevole della razza umana nei confronti dei propri simili. Meglio cani che male accompagnati.

Scheda tecnica:

Regia: Luc Besson

Cast: Caleb Landry Jones, Jojo T. Gibbs, Christopher Denham, Grace Palma, Lincoln Powell, Marisa Berenson, Clemens Schick

Distribuzione: Lucky Red

Genere: drammatico

Pubblicato da Giuliana Molteni

Vado al cinema dalla metà degli anni ’50 e non ho mai smesso. Poi sono arrivate le serie tv.