L’insoddisfazione auto assolutoria della Middle Class – Articolo

Alcuni film e serie tv ci fanno interrogare sullo scarso grado di autocoscienza dell’attuale “classe di mezzo” anglosassone.

Un trucco perché un film o una serie tv incontri il gradimento dello spettatore sta nel mettere in scena personaggi e situazioni in cui riconoscersi, emozioni da condividere, problemi di cui trovare la soluzione fianco a fianco, parteggiando per i protagonisti di storie anche da noi lontane.

Harrison Ford Jason Segel
Harrison Ford, sempre burbero, e il suo “allievo” Jason Segel.

Talvolta però i personaggi sono respingenti, le situazioni irritanti, i problemi fastidiosi, le emozioni latitano. Eppure si può seguire lo stesso la narrazione, nonostante l’antipatia e la mancanza di empatia. Ma a tutto c’è un limite.

Negli ultimi tempi sia su grandi che su piccoli schermi, abbiamo avuto occasione di vedere prodotti di livello più che buono, con elevati valori produttivi, ottimi cast, spesso tratti a loro volta da libri, che però (ma è una percezione del tutto soggettiva) invece che attrarre e coinvolgere, respingevano e allontanavano.

Si è trattato sempre di storie ambientate in una classe media dei nostri giorni (americana, per di più e forse senza tenere conto dell’aggravarsi della crisi finanziaria che ha fatto scivolare verso il basso molti nuclei famigliari).

Jesse Eisenberg Claire Danes Lizzy Caplan
Tre personaggio in cerca di riscatto, faticoso.

Che fossero storie di riscatto o rinascita, di ricostruzione o formazione, ci hanno trasmesso un fastidio, un’irritazione su cui ci interroghiamo, anche per l’atteggiamento che implicitamente queste storie invitano ad assumere nei confronti di chi fosse afflitto dai problemi messi in scena: una chiamata alla solidarietà.

Siamo sempre in questa Middle Class con la pancia piena che si deve dare un tono, che in assenza di ben altri e gravi problemi (mancanza di lavoro, di casa, di assistenza sanitaria), deve affermare anche lei il suo diritto a “stare male”.

Che si tratti di malattie o decessi, non si insegna più come andare avanti e ma si è autorizzati a macerarsi in varie elaborazioni del lutto che si protraggono per esistenze intere, rovinando anche rapporti seguenti, instaurati con tapini che non sanno dove si sono andati a cacciare.

Kathryn Hahn
L’ottima Kathryn Hahn alle prese con un personaggio irritante. 

Oppure l’elaborazione può essere proprio sulla fine del rapporto, accuratamente portato alla distruzione dopo anni di strazi famigliari che nel frattempo hanno devastato gli eventuali figli, che così a loro volta ricadranno nello schema genitoriale, in un tragico uroboro emotivo.

Sia chiaro che qui non parliamo di tragedie più concrete, di affidamenti traumatici, di violenze, abusi e molestie, di reali responsabilità in eventi drammatici. Qui parliamo di perdite inevitabili, di rapporti che finiscono, di dubbi esistenziali sulle scelte fatte lungo la propria esistenza, scelte affettive e lavorative, spesso.

Problemi su cui anche con fatica e dolore quasi tutti ricostruiscono esistenze pur travagliate. Aggiungiamo che tutto questo sfacelo avviene anche potendosi permettere l’aiuto di un analista. Perché non dimentichiamo che un “proletario”, uno semplicemente meno fortunato finanziariamente ma afflitto da altrettanta infelicità, non può permettersi tanti patemi, deve andare avanti a lavorare (se un lavoro ce l’ha) e mandare avanti la famiglia (se è riuscito a conservarsela).

Ben Whishaw
Ben Whishaw fatica a rendere accettabile il suo personaggio.

Molti di questi personaggi sbandierano la pretesa arrogante di poter continuare a scaraventare in faccia la propria infelicità a chi li ha troppo generosamente scelti come amanti, consorti, figli, amici, facendo gravare l’inverno del loro scontento su chi proprio non ne ha colpa. Anche il ricordo delle loro infanzie, segnate da traumi di vario tipo (ma mai gravissimi, ribadiamo) costituirà materiale narrativo.

Perché spesso i protagonisti di queste storie scriveranno libri o disegneranno questo loro disagio, e magari ci faranno un film o una serie tv perché a tutti questi soggetti il proprio dolorante ombelico sembra il centro del mondo, non immaginando minimamente di quanto potrebbe sbuffare qualcuno al di fuori del loro ambiente, uno che per sopravvivere ha dovuto davvero lottare, sta ancora lottando. Ma se la raccontano fra di loro, soddisfatti del successo che questi trattamenti incontrano fra spettatori a loro simili.

Un discorso a parte lo meriterebbero gli adolescenti della più recente narrativa di film e serie tv, i rampolli di cotante famiglie, soggetti spesso insopportabili a loro volta, tutti con una carta di credito e l’iPhone più recente in tasca, in confortevoli abitazioni con camerette dotate di ogni ben di dio da cui il povero genitore è spesso eiettato, se solo si permette di accedere per portare cibo o vestiti puliti.

Kerry Whasington, Del Roy Lindo
Una figlia che paga le colpe del padre, ma anche viceversa.

Gli eredi sono sempre pronti a scagliarsi contri genitori spesso criticati con durezza per non essere stati abbastanza presenti proprio mentre procuravano quel benessere che viene contestato ma certo non rigettato. I “ragazzi” sono sempre pronti a fare scenate memorabili senza che nessuno li prenda gentilmente per le spalle, dia loro una salutare scossa, iniziando a spiegare, a chiarire le idee.

Invece tutti attoniti e addolorati a guardarsi in faccia mentre sbatte la sporta dietro il figlio indignato. Che poi ritroveremo da grande a torcersi per i rimorsi o a continuare ad accusare i genitori dei suoi fallimenti. Nessuno insomma prova a ricostruire sulle macerie ma passa il resto della vita frugandoci dentro e gettandone pezzi in faccia al prossimo.

In questa ricerca sull’epica dell’ombelico non andiamo troppo indietro nel tempo, restiamo su prodotti degli ultimi mesi, film come il pur pregevole Armageddon Time, le serie Fleishman a pezzi, Tiny Beautiful Things, Shrinking, This Is Going to Hurt (ma pensiamo a tutti i protagonisti della serie tv Girls e ai personaggi del genere Mumblecore in generale).

Lena Dunham
Le “ragazze” di Lena Dunham.

Non solo nelle serie tv o nei film drammatici, però, si riscontrano atteggiamenti simili, li ritroviamo anche in una commedia brillante come Unprisoned. Tutti prodotti disponibili sulle maggiori piattaforme, Disney +, Netflix, Apple TV +.

In questi prodotti abbondano personaggi fastidiosi, adulti o ragazzi, che sono invece palesemente scritti per riuscire simpatici e divertenti e che invece non ce la fanno. Certo si sa che la ricchezza non garantisce la felicità, però in una bella casa, con una carta di credito senza problemi, un lavoro pure soddisfacente e ancora giovani e in buona salute, certi “lutti” inevitabili possono venire elaborati più agevolmente.

Se si vuole costruire una narrativa sul disagio di vivere, ci vuole più serietà, più senso della realtà. E lo si ottiene appunto guardandosi intorno, confrontandosi con gli altri, ascoltando loro e non solo se stessi, distogliendo per un attimo lo sguardo da quel famoso ombelico.

Ali Wong Steven Yeun
Un’ottima serie tv che non fa sconti a nessuno.

In Beef – Lo scontro, ottima serie che racconta di sue svantaggiati che si devastano nella rincorsa al benessere, la madre della protagonista le dirà “ se guardi sempre solo al passato, tu crolli, qualsiasi cosa stia succedendo ora, superala”.

Niente è facile, basta però un po’ di coraggio, di forza di volontà. Perché non insegnare questo? Sarebbe utile e più costruttivo. Come dicevano le nostre nonne e ormai forse le bisnonne, per tanti ci vorrebbe una guerra. A questo proposito chissà che film ci arriveranno dall’Ucraina, fra una ventina d’anni.

Quello che traspare con chiarezza è che se vuoi diventare un creativo o un realizzato professionista, ne devi avere passate tante. Un’infanzia felice sembra non predisporre al successo. Si dice spesso infatti che se Leopardi fosse stato alto e bello, non avrebbe scritto l’Infinito.

Pubblicato da Giuliana Molteni

Vado al cinema dalla metà degli anni ’50 e non ho mai smesso. Poi sono arrivate le serie tv.