Civil War è un postapocalittico di inquietante realismo, nobilitato da una riflessione sull’informazione nei nostri giorni imbarbariti.
Tanta letteratura e tanto cinema ci hanno raccontato più volte storie in cui gli Stati Uniti precipitavano in una devastazione post-apocalittica, causata a volte da eventi improbabili come invasioni aliene, altre volte da fatti ben più plausibili come catastrofi naturali, epidemie, mutazioni varie, che decimavano la popolazione, riducendo i mezzi di sostentamento e i servizi, provocando così una feroce lotta per la sopravvivenza (da The Road a The Last of Us per intenderci).
Il regista inglese Alex Garland con il suo nuovo film Civil War si diletta nel mostrarci una causa ancora diversa, ma dai medesimi effetti.
Gli Stati non sono più Uniti, le elezioni le ha vinte (o anche no, ma tanto è uguale) un Presidente che ha soffiato sul fuoco e ha diviso il paese fra suoi sostenitori e suoi avversari, che adesso si combattono ferocemente, strada per strada, città dopo città, Stato dopo Stato.
Ormai siamo a un punto di distruzione del tessuto sociale irrimediabile, le due fazioni si massacrano con tutti i mezzi a disposizione e anche con il consueto sadico godimento.
Kirsten Dunst è la fotoreporter intrepida e disillusa.
Mentre una coalizione composta da due soli Stati, nell’inaspettata alleanza fra California e Texas (come a dire che nessuno, a destra o a sinistra è soddisfatto del Governo) è quasi alle porte di Washington, il Presidente, asserragliato alla Casa Bianca, continua a lanciare proclami di morte. Come andrà a finire?
Per evitare che il suo film si riducesse a uno sfacciato pamphlet anti-trumpiano, una versione enhanced dell’assalto a Capitol Hill, Garland, che anche scrive storia e sceneggiatura, ci fa partecipare agli eventi a fianco di quattro reporter.
Si definiscono fotogiornalisti e la più rispettata è Lee (come Lee Miller Penrose, la prima fotografa ad entrare a Buchenwald e Dachau), una famosa, che ha passato la vita a informare, a far vedere, perché quanto da lei documentato in paesi lontani non dovesse succedere più.
Il Presidente che fomenta la guerra civile, sounds familiar?
Vana speranza, perché adesso si trova a far vedere, a informare di cose che succedono a casa sua, nel suo paese, alla sua gente. Perché la storia non ci ha insegnato niente.
I suoi colleghi sono un giornalista della Reuters, una giovane ragazza che aspira a una vita come quella di Lee e un vecchio giornalista avviato a lento declino da età e problemi fisici, che lavora per “quello che resta del New York Times”.
Insieme cercano di arrivare alla Casa Bianca, per intervistare un Presidente ormai assediato, barricato dietro i cadaveri dei suoi fedelissimi, 800 miglia per un on the road ricco di quelle mostruosità che il cinema post-apocalittico ci ha insegnato a conoscere, con tutto l’arsenale di atrocità che guerre e repressioni si portano appresso.
La vecchia e la nuova generazione sul campo.
Nel gruppo di protagonisti c’è un ventaglio di età e di atteggiamenti che passa più di un paio di generazioni, altro particolare che potrebbe gettare ulteriore luce sulla visione di Garland.
E mentre le due reporter scattano foto dei vari atroci momenti di guerra, di crudeltà, di ferinità, ci rendiamo conto che il significato dello scatto, che è nel loro sguardo, perché sanno bene cosa stanno fotografando, potrà essere frainteso, addirittura ribaltato da chi alla fine quella foto la vedrà.
E quindi non imparerà niente, anzi troverà modo di distorcerne il significato e tanto sacrificio sarà stato vano, per niente (discorso quasi obsoleto da fare oggi, momento in cui la IA ci sta facendo dubitare di ogni foto che vediamo).
Che sia in Medio Oriente, in Ucraina o negli USA, si ammazza o si è ammazzati.
Dubbi che i protagonisti di film come Un anno vissuto pericolosamente, Benvenuti a Sarajevo, The Bang Bang Club o Sotto tiro non avevano.
Ma queste riflessioni, cui ciascuno spettatore darà la sua risposta, non impediscono a Civil War di essere quasi un impressionante instant movie, un film di guerra angoscioso e un action incalzante.
Kirsten Dunst (una delle sue migliori interpretazioni) è l’esausta reporter che di guerre ne ha viste troppe, Wagner Moura (Narcos) il collega che nonostante tutti gli orrori visti è ancora in evoluzione.
Jesse Pelmons, in un breve ruolo che lascia il segno.
Stephen McKinley Henderson, caratterista dal volto noto, è il vecchio giornalista che non si lascia mettere in disparte mentre Cailee Spaeney (Priscilla) è la giovane che vuole la sua parte. Compare brevemente un agghiacciante Jesse Plemons, degno dei suoi primi tempi in Breaking Bad.
Nick Offerman, già con Garland nella serie tv Devs (da recuperare) è un perfetto Presidente, nel comodo stile “armiamoci e partite”. Produce A24, con un budget di 75 milioni di dollari, per la sua produzione più importante dai primi lavori nel 2012.
Per l’Italia è distribuito da 01 Distribution. Garland si circonda di alcuni dei suoi collaboratori abituali, Rob Hardy per la fotografia (Ex Machina e Men), Jake Roberts è al montaggio e per la colonna sonora Ben Salisbury e l’ex Portishead Geoff Barrow.
Wagner Moura, il reporter che crede nel suo mestiere.
Ottima e insolita la selezione di canzoni con un uso a volte straniante. Alex Garland, scrittore passato da apocalissi post-zombie di 28 giorni dopo ad altre apocalissi e altro genere di zombie, dopo film come Men, Annientamento, Ex Machina, e l’anomala serie tv Devs, ci regala un film notevole, di quel genere che fa discutere dopo la visione, e già questo è sempre un bene.
A otto mesi dalle presidenziali di novembre, impossibile non guardarlo con inquietudine. Ma tante sono le riflessioni, che valgono anche per noi, come umanità in generale e come cittadini del nostro paese.
Possiamo semplicemente restare a guardare, convinti che sia roba d’altri, che non ci riguardi, che da noi mai succederà? Come dicevamo parlando del film Green Border?
E che dire di una politica che non ha costruito niente, ha solo aizzato reazioni animalesche con social e disinformazione, fomentando la divisione fra “noi” e “loro”?
E questi sono i frutti, “strange fruits” come quelli di Billie Holiday, come i cadaveri che in ogni guerra rimangono a penzolare da alberi e cavalcavia. Stati Uniti, uniti per niente, lo abbiamo visto arrivare, abbiamo guardato e adesso?
Scheda tecnica:
Regista: Alex Garland
Cast: Kirsten Dunst, Wagner Moura, Stephen McKinley Henderson, Cailee Spaeney, Nick Offerman, Jesse Plemons
Distribuzione: 01 Distribution
Genere: drammatico, thriller, azione