Il film Green Border ci racconta una delle tante tragedie legata alla fuga da paesi dove vivere è impossibile.
Nel mondo succedono cose le cui conseguenze coinvolgono persone, esseri viventi come noi, che dovrebbero toccarci e farci riflettere intensamente al di là di ogni fede politica, di ogni credo ideologico o religioso.
Come questo non avvenga è uno dei motivi che fa meditare sul concetto di “umanità” inteso come “sentimento di solidarietà umana, di comprensione e di indulgenza verso gli altri uomini”.
Con il suo film Green Border, la regista Agnieszka Holland ci racconta una storia articolata, che mette in scena alcuni casi esemplari anche se di finzione, attraverso i quali andare a toccare una serie di problemi che la maggior parte delle persone che abitualmente seguono stampa o social tendono a ignorare, a mettere in secondo piano.
Stiamo parlando di immigrazione e siamo sul confine fra Bielorussia e Polonia, zona che si trova alla fine della cosiddetta tratta balcanica, che i mass media hanno sempre trascurato rispetto a quella mediterranea.
Gente incolpevole allo sbaraglio.
Peccato che anche qui i costi di vite umane siano altissimi e non quantificabili del tutto, perché le foreste nascondono cadaveri quasi quanto il mare. Holland mette in scena e racconta i problemi di un gruppo di profughi siriani (siamo nel 2021 e la famiglia in fuga dal 2015 ha passato quasi 5 anni in un campo di prigionia).
Nel gruppo si sono mischiate persone in fuga dall’Afghanistan dopo l’abbandono degli americani. Caricati su un aereo turco, atterrano tutti in Bielorussia, dove Lukashenko ha ingannevolmente attratto i profughi, per poi scaricarli in Polonia, creando così un problema alla detestata Unione Europea.
Si tratta di persone che spesso hanno già pagato un passaggio verso parenti sparsi in altre nazioni europee, qualcuno anche in America, e rimangono intrappolati in un limbo dantesco.
In una verde foresta si può rischiare la sete.
La Polonia infatti non ha nessun interesse a lasciare entrare questi disgraziati, facendo per di più un favore al dittatore (perché così si può definire un “presidente” al suo sesto mandato) e li respinge crudelmente di nuovo all’interno dei confini bielorussi, in un tragico, insano ping pong che assottiglia il numero dei disgraziati profughi, decesso dopo decesso, a causa di fame, freddo, abusi fisici.
Come delle nazioni possano investire risorse per organizzare una simile pratica sfugge a ogni logica “umana”. Del resto è una pratica messa in atto dalla gendarmeria francese sul nostro confine ligure, anche se la situazione legale è diversa.
Un altro capitolo è dedicato ai militari addetti a questa pratica, qualche fanatico imbottito dalla propaganda più bieca (i profughi sono anche zoofili), qualcuno che fa quel lavoro senza convinzione, per portare a casa uno stipendio, e paga le conseguenze di uno stress intollerabile, impegnate nel logorante e sadico gioco di rimbalzarsi i gruppetti profughi da un lato all’altro dei rotoli di filo spinato che fanno da confine.
Guai ad aiutare troppo.
Vediamo poi la situazione dal punto di vista degli attivisti, volontari mossi da puro senso di umanità (torna questo termine), impotenti a fornire qualcosa di più che provvisori aiuti, oggetto di ritorsioni accanite da parte della Polizia che ovviamente li vede di pessimo occhio.
A loro si unisce una donna della zona, indignata per le pastoie legali e desiderosa di fare di più, anche lei colpita severamente se colta a compiere qualche azione non concessa dalle regole disumane, che confidano nella lenta morte per fame, freddo e malattia dei disgraziati, in una foresta che è diventata un campo di concentramento ad eliminazione naturale.
Di alcune situazioni sapremo la conclusione, di altre no. Nel finale però vedremo il diverso trattamento riservato nel 2022 ai profughi della guerra in Ucraina, bene accolti, ben smistati, perfino con i loro animaletti domestici.
Alieni feroci e filo spinato.
C’è infatti un razzismo implicito nel differenziare il profugo dalla guerra in Ucraina, “bianco” e di religione cristiano/ortodossa, da quello che arriva dal Medio Oriente, (vedi il film The Old Oak di Ken Loach e ricordiamo anche Open Arms – La legge del mare, storia vera, ambientato sull’isola di Lesbo).
Ma questo rende ancora più spaventoso l’atteggiamento della Polonia che si fa però paladina di valori “cristiani” (l’80% della popolazione è cattolico), con leggi durissime contro l’aborto, ad esempio, divertendosi però a vessare con ingiustificabile cattiveria profughi incolpevoli insieme ai loro bambini, sfortunatamente per loro già nati.
Perché si tratta di gente normale, che viveva vite normali, coinvolta in guerre cadute dall’alto, le cui vite sono diventate impossibili e che sono stati davvero costretti alla fuga (segnaliamo il film Le nuotatrici, su Netflix, storia vera di una partecipante alle Olimpiadi di Rio).
La durezza dei militari contro gente indifesa.
Sfortunati loro a essere nati e vissuti in certe aree del mondo e quindi noi abbiamo il diritto, forti solo della nostra fortuna di essere nati e vissuti in posti dove per ora queste cose non succedono, di voltarci dall’altra parte, ignorarli, respingerli, sfruttarli, farli crepare in situazioni disumane, dopo averli anche usati come strumento di pressione politica fra Nazioni.
Ricordiamoci i nomi dei signori responsabili di queste atrocità: Aleksanrd Lukasenko, dittatore filo russo, dal 1994 “democraticamente” eletto per sei mandati, e per la Polonia Andrzej Duda, ex scout, un politico e avvocato polacco, presidente della Repubblica di Polonia dal 2015 ed esponente del partito Diritto e Giustizia (parole usate a vanvera), autore di riforme anticostituzionali. oppositore del piano europeo di ricollocamento dei rifugiati. Nelle nostre preghiere, se ne facciamo, ricordiamoli.
Questo racconta la regista con un film che è finzione ma documentario, una summa davanti alla quale è impossibile rimanere indifferenti, anche se uno dei personaggi dirà che per sopravvivere “Non bisogna affrontare questioni al di fuori del nostro controllo”.
Una riflessione civile si impone, niente di più, quello che nessun politico sta facendo, se non a vuote parole, mentre nei fatti nulla cambia. Ci si chiede fino a quando noi occidentali casualmente fortunati potremo andare avanti senza pagare uno scotto per la nostra criminale indifferenza.
Scheda tecnica:
Regia: Agnieszka Holland
Cast: Jalaj Aktawil, Maja Ostaszewska, Behi Djanati Atai, Tomasz Wlostok, Dalia Naous
Distribuzione: Movies Inspired
Genere: drammatico