Whitney – I Wanna Dance with Somebody – Recensione

Un film, non un documentario, sulla breve vita poco felice della famosa cantante.

Quante storie abbiamo visto, di personaggi che avevano conquistato fama e gloria grazie alle loro qualità creative, attori, cantanti, artisti in generale. E quante volte li abbiamo visti finire male, vittime di morti premature causate dalla loro fragilità, dall’incapacità di gestire il peso, sembra insostenibile per alcuni, della macchina del successo, schiacciati da una pressione prevista, auspicata perché legata al crescere della fama, ma trovata poi insopportabile, spesso condotti sulla strada sbagliata da persone che amavano, da famigliari, da compagni.

Uno dei casi più eclatanti degli ultimi anni è stato quello di Whintney Houston, morta nel 2012 a soli 49 anni, per un collasso cardiaco causato sembra dal solito mix di sostanze, passate e presenti. Dopo un film tv del 2015 e due documentari diversamente interessanti, nel 2018 Whitney di Kevin MacDonald e nel 2017 Whitney: Can I Be Me di Nick Broomfield, arriva adesso nelle sale il film Whitney – I Wanna Dance with Somebody, diretto da Kasi Lemmons (attrice che ha all’attivo una decina di regie), su sceneggiatura di Anthony McCarten già autore di La teoria del tutto, Bohemian Rapsody, I due papi e francamente ci aspettavamo di più.

Il film è un prodotto di taglio “nazionalpopolare”, un riassunto molto rispettoso della breve vita non molto felice della cantante. Il film ci racconta la scalata veloce alla fama mondiale di una ragazza semplice, benedetta dalla natura con una voce splendida, sospinta dalla madre e poi dal paterno manager Clive Davis, mitico produttore discografico, fondatore della Arista Records, personaggio di tale levatura da meritare un documentario tutto per lui, visibile su Netflix, The Soundtrack of Our Lives (bellissimo). Entrambi la spingeranno in una direzione che forse non era la sua, ma chissà da sola dove sarebbe andata.

naomi ackie whitney houston
Il rifacimento di un video famoso.

 La sua carriera esplode negli anni ’80, ragazzina prodigio (cantava già all’età di 14 anni), figlia della cantante Cissy e cugina della mitica Dionne Warwick. Dipendente da droghe fin da ragazza, chiacchierata per un’amicizia troppo stretta con la migliore (e unica) grande amica Robyn Crawford (qui si dà per assodata la loro relazione sentimentale), riceve il colpo di grazia innamorandosi e sposando Bobby Brown, mediocre talento che poi camperà alle sue spalle tutta la vita, aiutandolo a scivolare sempre più nella dipendenza.

Personaggio detestato da media e fan, ma nei cui confronti questo film è alquanto assolutorio. Nessuno nel vorace entourage che la circondava, potrà, vorrà mai fare nulla di concreto (perfino il padre le aveva fatto causa per 100 milioni di dollari, soldi da lui pretesi per l’assistenza alla carriera prestata negli anni). Si tralasciano pietosamente gli eccessi degli anni ‘90/2000 e i suoi discutibili comportamenti come madre. La tenera bimbetta Bobbi Kristina, che nel documentario di Broofield avevamo vista spesso trascinata sul palco da una madre sovraeccitata, diventata ragazza ha cominciato anche lei a fare uso di droghe e a 22 anni è morta per abuso.

naomi ackie whitney houston
L’inno nazionale al Super Bowl del 1991.

Resta l’atteggiamento umanamente caritatevole e indulgente nei confronti dell’immenso spreco di talento ma soprattutto umano. La storia della Houston è capitata a tanti altri, ma non per questo è meno toccante la messa in scena di una vita buttata, di una persona devastata, perché incapace di porre adeguate barriere fra se stessa e un mondo indifferente e avido, fra se stessa e la sua vera anima, che nessuno le aveva insegnato a distinguere.

La protagonista è Naomi Ackie, che “mima” le canzoni stranote, cantate da Houston, che sono riprodotte però in versioni leggermente diverse da quelle canoniche, remixate per esigenze acustiche (il Dolby Atmos da sala) a partire da registrazioni non definitive, ottenendo così un risultato ambiguo, perché a tratti la voce non sembra quella di Whitney, lasciando pensare che sia la Ackie a cantare. Stanely Tucci è un meraviglioso Clive Davis (e come dubitarne, un attore che è una certezza), la madre e il padre sono due volti noti visti in molti film e serie tv, Tamara Tunie e Clarke Peters. Ashton Sanders (Moonlight) è il discutibile (e mai simpatico) Bobby Brown.

Whitney – I Wanna Dance with Somebody è un prodotto ben confezionato ma banale, in fondo inutile, che una volta di più lascia a interrogarsi su come invece realizzare biopic interessanti, scegliendo approcci diversi (non necessariamente dissacranti) e stili narrativi più originali.

Cosa riuscita a Baz Luhrmann con il suo Elvis ma che in passato ci ha dato edulcorate biografie di personaggi molto amati come Freddy Mercury, Elton John, Johnny Cash, Ray Charles, resoconti rispettosi di vite sopra le righe, che lasciano solo il rimpianto per quello che sarebbe potuto essere e non è stato. Oppure è stato, ma per un tempo troppo breve. Del resto si usa dire che la candela che arde col doppio di splendore brucia per metà tempo.

Scheda tecnica

Regia: Kasi Lemmons

Cast: Naomi Ackie, Stanley Tucci, Nafessa Williams, Ashton Sanders, Tamara Tunie, Clarke Peters

Distribuzione: Sony

Genere: biopic

Pubblicato da Giuliana Molteni

Vado al cinema dalla metà degli anni ’50 e non ho mai smesso. Poi sono arrivate le serie tv.