La serie tv Under the Bridge racconta la storia di un delitto che si collega a temi come bullismo, discriminazione, razzismo.
Tutte le esistenze sono influenzate dalle nostre origini e le conseguenze di eventi traumatici spesso si estendono anche su più di una generazione. Alla fine molti ne pagano le conseguenze, anche se incolpevoli.
La serie tv americana Under the Bridge, distribuita da Disney +, si ispira a fatti realmente accaduti nel novembre del 1997 a Saanich, località apparentemente piacevole nella British Columbia, in cui sono stati coinvolti degli adolescenti.
Che, tutti, hanno pagato un prezzo altissimo, mentre anche la generazione precedente, gli adulti che avrebbero dovuto amarli, formarli, sostenerli, non ha saputo o voluto fare il loro lavoro. Perché a loro volta danneggiati, perché feriti da vite non facili, oppure per semplice incoscienza, per stupidità, leggerezza, per cattiveria anche.
Tutto ha contribuito a formare una scena potenzialmente a rischio, che è deflagrata quando è comparso quello che era l’anello più debole della catena. In questo caso la tredicenne Reena Virk, figli di due immigrati indiani, piccola borghesia all’apparenza ben inserita.
Riley Keough interpreta la scrittrice protagonista.
In realtà il nucleo famigliare era oppresso dalla mancanza di reale integrazione e questo aveva provocato nella madre la conversione ai Testimoni di Geova. Questa impegnativa adesione, condivisa per amore dal marito, porterà la famiglia su posizioni molto rigide nei confronti soprattutto della figlia Reena, che per un malinteso senso di ribellione subirà la fascinazione di un gruppetto di ragazze “ribelli”.
Due di queste, la leader Jo e la sua seguace Dusty, sono ospiti di una casa di accoglienza per giovani abbandonati dalle famiglie. Le altre sono tutte munite di famiglia più che sollecite e benestanti ma anche loro distorte e prive di un filo morale, specie Kelly, la migliore amica di Jo, che più osteggerà l’ingresso di Reena nel loro gruppo.
Reena è ingenua, è di colore, è sovrappeso, è fragile e incompresa, vittima quindi facilissima per la malvagità insita in un ambiente che soffre della mancanza di guida morale, fatto di persone che non vedono o fingono di non vedere per non doversi arrogate il compito di intervenire.
Lily Gladstone qui fa la poliziotta.
Quando Reena viene ritrovata morta, picchiata a morte, iniziano le indagini della Polizia, il cui anziano capo, Roy, si ritrova come indiziati sei adolescenti, tutti ovviamente assai omertosi. Roy ha come vice i due figli, Scott bianco come lui e Cam, di origine nativo-americana, adottata quando era molto piccola.
Sul luogo arriva da New York Rebecca Godfrey (che è realmente l’autrice del romanzo da cui è tratta la serie), interpretata da Riley Keough, giovane donna problematica, fuggita lontano dalla famiglia da anni, dopo un’adolescenza gravata dalla morte del fratello maggiore, di cui si è sempre sentita responsabile.
Con Cam, ha sempre avuto un rapporto particolare ma il tempo le ha allontanate. La Polizia indaga per dovere, Rebecca perché vorrebbe scrivere un libro sui fatti, per dare finalmente una direzione alla sua vita alla deriva. Cam riconosce dovunque un disagio che ha sempre inconsciamente provato.
La vittima predestinata, l’emarginata, la diversa.
Intanto i genitori di Reena, devastati dall’accaduto, sono colpiti da altri ostracismi. Ciascuno ha un proprio tasto dolente e legge gli eventi in base a personali pregiudizi. Molti temi si intrecciano alla trama thriller, perché comunque fino alla fine non sapremo come realmente sono andate le cose.
C’è il tema della mancanza di un reale controllo sugli adolescenti da parte di famiglie e istituzioni, dell’assenza di veri “maestri di vita”, dell’impreparazione da un punto di vista umano di tanti, troppi adulti. E della diseducativa tendenza a proteggere il proprio pargolo anche quando ha palesemente torto, senza che le conseguenze delle sue azioni lo colpiscano, contribuendo così al procedere della sua devianza, invece che a una corretta formazione.
E parimenti dovrebbero essere puniti tanti genitori colpevoli di aver respinto, abbandonato i loro figli, scaricandoli come mobili vecchi, creando così soggetti vulnerati. Si parla di discriminazione, di razzismo, di bullismo, di diversità e anche degli abusi commessi ai danni dei nativi americani anche in quell’area e anche fino a pochissimi anni fa.
Javon “Wanna” Walton, scoperta della serie tv Euphoria.
Il tema, che serpeggia in tutta la narrazione e giunge a conclusione solo nel finale, è quasi annunciato dalla presenza nel cast di Lily Gladstone, la vincitrice del Golden Globe per il film di Martin Scorsese Killers of the Flower Moon, nel ruolo della poliziotta Cam.
Molti argomenti dicevamo, anche complessi, che non minano l’apparato giudiziario, indagini e processi, con una galleria di personaggi ben interpretati. Chloe Guidry riesce a essere odiosa eppure patetica nel ruolo della “cattiva” Jo, la ragazza che si illude di essere una “fuorilegge”, che esibisce di non avere bisogno di una famiglia per attutire lo choc di essere stata rifiutata, espulsa dalla propria.
E che è animata solo da una furia distruttiva nei confronti di chi ha tutto ciò che a lei manca. Aiyana Goodfellow è Dusty, di colore e psicologicamente indifesa, succube di Jo nella speranza di sottrarsi al suo destino di futura vittima predestinata a sua volta. Kelly Izzy G. (B Positive) è la ragazzetta bianca e benestante, che avrebbe tutto e vuole invece solo distruggere, totalmente priva di valori, che nessuno si è mai sognato di insegnarle.
Archie Panjabi, che era l’investigatrice Kalinda in The Good Wife.
Javon “Wanna” Walton, una delle molte rivelazioni della serie tv Euphoria, è l’unico maschio che sembra quasi un innocente in mezzo a un eccesso di perfidia femminile. Si riconosce la faccia nota di Matt Craven, il Capo della Polizia, cui si aggiunge quella notissima di Archie Panjabi, la mitica Kalinda di The Good Wife, che è la madre di Reena.
Che è interpretata dall’indifesa Vrikita Gupta. La scrittrice protagonista è affidata a Riley Keough, vista di recente di Daisy Jones and the Six, immatura e irritante, che non ha mai elaborato correttamente il percorso della morte del fratello, senza riuscire così ad accettare le conseguenze dell’accaduto, in cerca di un aggancio per salvare almeno se stessa.
Godfrey è morta di tumore nel 2022 a 54 anni, dopo essere riuscita diventare la scrittrice che voleva, autrice di altri libri oltre a Under the Bridge: The True Story of the Murder of Reena Virk. I cui diritti erano stati acquistati da Reese Witherspoon, che poi ha affidato il lavoro di scrittura alla regista, sceneggiatrice e attrice Quinn Shephard.
Altri nomi noti fra le registe dei vari episodi, fra cui Catherine Hardwicke, Geeta Vasant Patel e Nimisha Mukerji. Cosa si trae dalla visione di questa storia “true crime”, un fatto di cronaca nera ben romanzato?
Che è dai comportamenti di tutti che hanno origine le tragedie e che le azioni hanno conseguenze. E se non le hanno subito, il danno si trascinerà negli anni, continuando a colpire duramente. Perché in questa storia tutti hanno sbagliato, vittime forse a loro volta di altre colpe, ma risalendo indietro è chiaro che si arriva a Caino e Abele.
Quindi da qualche parte qualcuno deve essere capace di spezzare la catena che lo costringe in una direzione nefasta. Altrimenti non gli resterà che accusare se stesso e accettare le conseguenze.
Scheda tecnica:
Ideata da Quinn Shephard
Cast: Riley Keough, Lily Gladstone, Vritika Gupta, Archie Panjabi, Chloe Guidry, Javon “Wanna” Walton, Aiyana Goodfellow, Izzy G., Matt Craven
Distribuzione: Disney +
Genere: thriller, drammatico