Una notte violenta e silenziosa – Recensione

Only the Good Survive!

Una banda di spietati malviventi occupa militarmente l’enorme magione di una potentissima e perfida miliardaria, dove per Natale si è radunata la sua odiata e odiosa famiglia. Cosa mai potrà andare storto? Un elemento assolutamente imprevedibile metterà il bastone (e anche qualcos’altro) fra le ruote della gang, che vuole svaligiare il caveau della villa: Babbo Natale.

Il simpatico vecchione (che qui tanto vecchio non è perché è affidato a un sempre più carismatico David Harbour) sta infatti facendo il suo giro nella notte della Vigilia, di malavoglia perché come ci viene subito mostrato, è stufo della vita che fa e vorrebbe smettere. Ma proprio mentre sta lasciando i doni nella villa, scopre per caso quanto sta avvenendo e decide di restare ad aiutare i malcapitati, perché fra loro c’è una bambina che invoca il suo aiuto.

Perché finché c’è qualcuno che ci crede, Santa Claus non può morire. Ha così inizio una Holy Night assai poco holy e silent, sadica e violentissima invece, niente di spirituale, scandita invece da scontri assai fisici che si risolvono in veri e propri massacri di notevole efferatezza, con ammazzamenti in stile molto splatter.

Il “cattivo” della situazione è John Leguizamo, ex ragazzino traumatizzato da un’infanzia infelice, che lo ha escluso dalle gioie della santa festa, come da manuale. Ma anche più cattiva è la padrona di casa, una Beverly D’Angelo quasi irriconoscibile, riccastra detestabile, aggressiva e arrogante. A fare le spese di tale situazione saranno il figlio poco affezionato (Alex Hassell, visto in Macbeth, Suburbicon, Anonymous), insieme alla sua ex moglie, genitori dell’unico soggetto decente, la bambinetta che invece ha fede in Santa.

Detestabile è pure l’insopportabile la sorella. con il figlio addicted dei social. Nel ruolo del suo fidanzato belloccio e scemo si riconosce Cam Gigandet. Una scena a metà titoli coda. Dirige Tommy Wirkola, cui dobbiamo i due spassosi Dead Snow, con i nazisti zombie, su sceneggiatura di Pat Casey e Josh Miller, già insieme per i due Sonic.

Dopo un inizio che fa temere un altro Babbo bastardo, la storia per fortuna vira in altra direzione, condendo in salsa pulp quella che in Qualcuno salvi il Natale era la coppia Kurt Russell e signora. Perché anche questa Santa ha una moglie lontana e affettuosa, che qui non compare fisicamente ma è sempre presente per l’amato marito, e, come il Santa di Kurt, anche questo si ricorda i dettagli delle vite di tutti e i regali portati per ogni Natale dall’inizio dei tempi.

Per fortuna si prosegue nello stile del Fatman di Mel Gibson, per la disillusione del protagonista, il background del cattivo e la violenza generale. E si vira in dichiarate citazioni di Die Hard, nella lunga feroce guerriglia all’interno della villa, e di Mamma ho perso l’aereo, per le fantasiose e crudeli trappole che la bambina mette in opera per non essere catturata dai cattivi. Che cattivi sono anche sulla magica lista di Babbo Natale e quindi meritano la bruttissima fine che faranno, uno dopo l’altro.

Chi non crede in Babbo natale è sempre una cattiva persona

David Harbour, su cui si regge tutto il film, è un meraviglioso protagonista, dal phisique du role e dall’espressività perfetti per il suo personaggio, un uomo che nella vita ne ha viste tante, che dopo essere stato una specie di feroce e sanguinario Thor, ha subito una legge del contrappasso, costretto per l’eternità a portare doni ai più buoni. Che però non sono più gli stessi, l’umanità è peggiorata, i bambini pure, la delusione, la stanchezza si sono impossessate di lui. Ma la brutale vicenda gli porterà una nuova convinzione, un rinnovato slancio. Che coinvolgerà tutti i sopravvissuti.

Una notte violenta è silenziosa è una fiaba nera e surreale, che ci offre un altro ritratto di Santa Claus diverso da quello tradizionale, un uomo stanco, amareggiato dalla natura umana, tanto da sembrare quasi umano pure lui. Ma così non è e chi se ne dimenticherà la pagherà cara. Insomma, “you better watch out” vale sempre.

Pubblicato da Giuliana Molteni

Vado al cinema dalla metà degli anni ’50 e non ho mai smesso. Poi sono arrivate le serie tv.