Tulsa King Serie TV – Recensione

Nella serie tv Tulsa King, uno dei migliori Sylvester Stallone, in un ruolo degno di lui.

Dwight Manfredi esce di galera dopo aver scontato 25 anni per un omicidio, tenendo la bocca chiusa sui veri colpevoli.

Uomo d’onore, ha militato tutta la vita in una Famiglia mafiosa di New York e si aspetta un giusto risarcimento, una qualche posizione in cui fare soldi per sé e per il suo boss, che è ancora l’ormai vecchio e malato Pete Invernizzi. Ma lo attende una brutta sorpresa: per lui è stato organizzato una specie di esilio a Tulsa, poco attrattiva città al centro del desolato Oklahoma, ben lontano dalla amata Big Apple.

Nessuno del gruppo dei nuovi gangster di cui  è virtualmente capo Chickie, il figlio di Pete, rispetta o capisce Dwight, considerato un vecchio arnese sorpassato. Quante cose sono infatti cambiate in 25 anni, dal modo come si prende il caffè alla tecnologia imperante.

Ma certi meccanismi sono eterni, certe illegalità camminano a fianco del’essere umano, nel quale certe pulsioni sono connaturate,  ed è lì che Dwight trova sempre il suo spazio, con un buon senso basico (anche se criminale) a prova di progresso, e la sicurezza totale in se stesso, maturata in 70 anni e più di duro marciapiede.

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Dwight e la sua vecchia Famiglia, in cui non si riconosce più.

A Tulsa, piatta città in mezzo al Grande Nulla, alla spicciolata mette insieme un gruppetto di fedeli, qualcuno più riottoso a seguirlo, qualcuno più entusiasta. Con tutti Dwight riesce, con le buone o le cattive, a stabilire un ponte, paradossalmente più umano lui della società regolare.

Assume come autista il nullafacente Tyson, ragazzo nero dalle ambizioni nulle; si impone come “protettore” al locale negozietto di spaccio legale di erba, portando in cambio un aumento di guadagni stratosferico; coinvolge nel traffico i fornitori di erba indiani della vicina riserva; concede una second chance a un vecchio nemico italoamericano, ritrovato per caso nella zona.

Ma a New York non tutti sono contenti di vederlo prosperare e nere ombre si addensano. Senza trascurare che a Tulsa spadroneggia una gang di spietati bikers suprematisti di origine irlandese, che non accetta di dividere i proprio affari con il vecchio straniero.

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Dwight e la sua nuova famiglia, più adatta ai nuovi tempi.

Intanto pure l’FBI si mette sulle tracce di Dwight, che ai tanti suoi problemi aggiunge una figlia lontana che non lo vuole più vedere e un paio di interessi sentimentali inattesi. Scrive con la consueta efficacia Taylor Sheridan, autore di molte ottime sceneggiature fra cui quella di Yellowstone .

Qui intreccia il modus operandi di un vecchio gangster cittadino, italoamericano, uscito dalla galera dopo un quarto di secolo, con quello di un eterogeneo gruppo di redneck dell’Oklahoma, mettendo in atto una fusione politicamente corretta anche se assi improbabile fra diversi gruppi razziali.

Sylvester Stallone indossa il suo nuovo ruolo come fosse un vestito tagliato su misura per lui (consigliamo la versione originale per godersi la sua famosa voce, sempre più cavernosa con l’età), ben attorniato da un gruppo di ottimi caratteristi.

Nel suo personaggio si avverte una percepibile nostalgia per il passato che forse Stallone stesso in parte condivide. Si rivede Garrett Hedlund e le donne al cui fascino il cavalleresco Sly non si sottrae sono Andrea Savage, agente FBI con la passione per la vita notturna, e Dana Delany, vista in molte serie tv di livello. Apprezzabile anche la sequenza dei titoli di testa. Tulsa King, distribuita in streaming da Paramount è una di quelle commedie d’azione che oggi usano molto e che, se ben realizzate come questa, raccolgono molto gradimento nella mescolanza di elementi più leggeri ad altri di realistica durezza, spolverati di una inattesa malinconia esistenziale.

Se si aggiunge un divo con Stallone e una buona scrittura, il gradimento è assicurato.

Scheda tecnica

Ideata da Taylor Sheridan

Cast: Sylvester Stallone, Jay Will, Andrea Strange, Garrett Hedlund, Domenick Lombardozzi, Martin Starr

Distribuzione: Paramount

Genere: drammatico

Pubblicato da Giuliana Molteni

Vado al cinema dalla metà degli anni ’50 e non ho mai smesso. Poi sono arrivate le serie tv.