Triangle of Sadness, The Menu, Glass Onion, Masquerade: la lotta di classe in quattro film

Chi è troppo ricco merita un castigo?

I ricconi esagerati stanno antipatici a tutti, a meno che non siano VIP amati di qualche categoria particolare (artisti, cantanti, attori, sportivi, uomini di successo che si sono fatti da soli). Ancora più antipatici sono quelli che a vario titolo girano loro intorno, gli amici più stretti, i parenti parassitari, i collaboratori fedeli, gli impiegati che sono legati alle loro attività, i fornitori di merci necessarie ad alimentare quel mondo. Poi ci sono i più odiosi di tutti, gli adulatori, i veri e propri lacché, che di quel mondo dorato hanno bisogno per vendere i loro prodotti, per sopravvivere al di sopra delle proprie possibilità e del proprio merito. Ogni giudizio morale è comunque bandito, ogni obbiettività rimossa in nome di un’omertosa solidarietà/complicità dovuta al Dio Denaro.

The Triangle of Sadness: Woody Harrelson e i suoi passeggeri.

Questa premessa per dire che sono usciti quasi contemporaneamente nelle sale quattro film che di questo mondo si fanno beffe, con tono surreale ma una conclusione ugualmente sconfortante: Triangle of Sadness, The Menu, Glass Onion e Masquerade. Triangle, satira delle abitudini dei ricconi psicopatici, degli influencer arroganti, dei potenti troppo sicuri di sé, raduna su uno yacht di lusso un concentrato del peggio, maturi e poco attraenti ricconi ben consci del proprio potere e giovani ambiziosi che hanno solo la loro bellezza per scalare il successo (perché comunque la “dolce vita” piace a tutti).

In parallelo si muovono i membri dell’equipaggio, costretti ad assecondare qualunque richiesta degli ospiti, anche la più demenziale. Un improvviso naufragio costringe i pochi sopravvissuti a una difficile convivenza sulla solita isoletta deserta. In un crescendo grottesco, punteggiato da episodi disgustosi, ogni certezza sarà messa a dura prova, gli equilibri si riallineeranno, ma non è detto nel senso giusto. Nel cast, ricco di volti noti e meno noti, brilla un esilarante Woody Harrelson, il surreale Comandante marxista. Dirige e scrive Ruben Östlund, di cui ricordiamo Forza maggiore e The Square, altri film con situazioni provocatorie.

Con il film The Menu invece si cambia scenario. Se siete addicted degli show culinari, se seguireste fino all’inferno il vostro chef preferito e pendete dalle labbra dei vari divi testimonial, se avete cominciato a usare anche voi il termine “impiattare”, come potreste rinunciare a un invito super-esclusivo come quello che riceve un gruppetto di personaggi variamente assortiti, ma tutti (tranne due) al top del rispettivo settore? Ogni anno lo Chef Slowik, di fama astrale, invita nel suo riservatissimo ristorante, posto non a caso su un’isoletta, un gruppetto di prescelti.

The Menu: Anya Taylor-Joy vs Ralph Fiennes

Nel locale di spartano lusso, assurto a luogo di riconoscimento dello status sociale, si raduna così la solita congerie di arroganti miliardari, di maleducati ricchi dell’ultima ora, di giornalisti asserviti al potere, di persone che cercano di scaldarsi al sole del supposto potere di altri, che sperano un giorno di scalzare. Ma il grande Chef e la sua schiera di dotati e obbedienti gregari hanno in serbo per loro una sorpresa che farà virare il tono della serata in una direzione del tutto inattesa e molto cruenta. Tutti vivono di menzogne, anche raccontate a se stessi, e quando arriva un momento in cui è necessario togliersi la maschera e affrontare la realtà, ci saranno diverse e spiazzanti conseguenze. Gran cast su cui spicca il solito eccelso Ralph Fiennes, cui tiene ben testa l’algida Anya Taylor-Joy.

Il tema lo ritroviamo anche in un altro film, Glass Onion, fortunato sequel di Cena con delitto, campione d’incassi nel 2019. Come sprecare infatti un personaggio come l’investigatore Benoit Blanc, un originale mix fra Sherlock e Poirot, interpretato da un autoironico Daniel Craig, post-007? E infatti lo stesso regista Rian Johnson ha scritto e diretto Glass Onion. Questa volta l’habitat in cui Blanc muoverà i suoi passi felpati non è la disfunzionale famiglia del primo capitolo, bensì un gruppetto più eterogeneo, una specie di famiglia “social”, amici d’infanzia e poi profittatori di uno diventato tycoon della tecnologia (argomento su cui è ormai facile fare feroce ironia).

Come location, luogo isolato dove un gruppetto di personaggi può interagire senza interferenze esterne, è stata scelta un’isoletta greca, colonizzata dal magnate Miles Bron (Edward Norton), che invita i suoi fedelissimi, guidati dalla soluzione di un rompicapo. Sono gli “amici” di sempre, i compagni di avventure e degli eccessi di gioventù, divenuti poi sostenitori e complici durante la sua scalata al successo, da lui munificamente ringraziati e avviluppati in una rete da cui districarsi equivarrebbe al suicidio finanziario oltre che sociale.

Glass Onion: Daniel Craig è l’ineffabile investigatore Benoit Blanc.

In questo ambito capita pure Blanc, invitato non ufficiale, a disagio perché mosca bianca in mezzo a gente assai diversa da lui, in un contesto tecnologico che lo spiazza, dove anche il clima sembra congiurare contro di lui. Ma come sempre dietro la sua goffaggine, la modestia dell’approccio e la discrezione con cui si rapporta agli altri invitati, la sua mente brillante non smette di accumulare segnali che poi diventeranno indizi per smascherare il colpevole, quando inevitabilmente il delitto sarà commesso. La parte del leone se la ritaglia Craig, che nuovamente si diverte a giocare con un insolito accento (si raccomanda sempre di guardare i film in originale son sottotitoli), ma è assai ben scelto tutto il resto del cast.

In Masquerade, scritto e diretto da Nicola Bedos, interessante attore, regista e sceneggiatore, che come autore ricordiamo per La belle époque e Un amore sopra le righe, siamo in un contesto stile Caccia al ladro, di hitchcockiana memoria, ma con echi del La piscina di Jacques Deray. Hotel di lusso, residenze fiabesche, sole a picco sul mare blu, vecchi ricchi che lottano per mantenere un livello di vita che non possono più permettersi, disposti a tutto pur di non scivolare indietro nella scala del consenso mondano. I nuovi ricchi invece, i politici, gli affaristi, squaleggiano come e più che mai, senza guardare in faccia nessuno, arroganti e in delirio di onnipotenza.

In mezzo a loro i giovani e belli che mettono a disposizione con apparente disinvoltura avvenenza e disponibilità sessuale (unica moneta in loro possesso) per restare a nuotare nelle calde acque del benessere. Ma sono proprio delle vittime, in tutto e per tutto, chi ha detto che quella debba essere l’unica vita possibile, carica di sgradevoli controindicazioni? E i ricchi usati a questo scopo sono così meritevoli di disprezzo e castigo da poter giocare con loro con crudele cinismo? Si finirà in tribunale, ma figurarsi se la giustizia stretta nei suoi rigidi canoni può districare una matassa così ambigua.

Masquerade: anche i ricchi piangono?

Il film sembra voler indirizzare in una direzione e in quel senso si conclude, senza però riuscire a coinvolgere emotivamente lo spettatore e a convincerlo su cosa sia giusto e sbagliato e di conseguenza a parteggiare per chi vorrebbe l’autore. Il cast si fa forte di molte presenze note e di valore e per il ritorno di Isabelle Adjani, una diva un po’ Gloria Swanson. Rifulge la bellissima Marine Vacht (vista nel Pinocchio di Garrone), presunta vittima per cui non si riesce a parteggiare.

Si tratta di quattro film che denunciano, facendosene beffe con maggiore o minore drammaticità, il mondo dei super-ricchi e delle loro mosche cocchiere, mostrando anche i danni che producono su chi quel mondo dorato solo lo sfiori, relegato in un ruolo di sottoposto che conviene accettare di buon grado, pena infinite sofferenze. Viviamo in un momento socialmente difficile, come tutti ben sappiamo, martellati dai media, l’uno per cento della popolazione mondiale detiene una ricchezza pari a quella del restante 99%.

E per stare al passo tocca piegarsi alle loro regole e cercare di entrare in ogni modo in quel cerchio dorato, per chi ne è fuori non restano che rancore e invidia. Siamo servi della gleba che si affannano per sopravvivere con le briciole che il Sistema lascia cadere dall’alto dei suoi tavoli. Si può scherzarci sopra, se ne può ricavare un noir o una commedia macabra. Certo è che il giullare è sempre stato accettato dal potente di turno.

Che tanto se la ride e va avanti a dispetto di qualunque satira, di qualunque denuncia. Forse perché sa che è tutta solo invidia e chiunque, arrivando ad occupare la sua posizione, poi si comporterebbe nello stesso modo.

Pubblicato da Giuliana Molteni

Vado al cinema dalla metà degli anni ’50 e non ho mai smesso. Poi sono arrivate le serie tv.