La vita favolosa di Steven Spielberg.
Cosa fa di noi quello che siamo (e siamo in continua evoluzione), cosa ci indirizza nella vita, qual è quell’interruttore che un giorno scatta e ci mira verso una certa direzione, quanto conta il sostegno, il tramite che le figure per noi fondamentali hanno in questa scelta?
E questa motivazione che ci sorregge da quel momento in poi, quanto conta per salvarci la vita, quando tutto sembra andare nella direzione sbagliata? Ma soprattutto, cosa fa sì che avventure e disavventure negli anni formativi di infanzia e adolescenza per alcuni diventino ferite che possono piegare e spezzare una vita, per altri stimolo a proseguire lottando per le proprie passioni, inglobando virtuosamente nella propria poetica quanto ci ha ferito? È scritto da qualche parte nel mistero del nostro DNA, nessuno saprà.
Steven Spielberg, arrivato all’età di 76 anni carico di fama, premi, stima e affetti, si concede il lusso di scrivere (con il fidato Tony Kushner, già con lui in Munich, Lincoln e West Side Story) e dirigere The Fabelmans, un film di 151 minuti per raccontare come tutto ha avuto inizio, quella che fino a un certo punto sembra una normale storiella di formazione come ne abbiamo viste tante: gli anni di infanzia e adolescenza di un figlio amato da due genitori profondamente diversi ma che sembrano compatibili, lui un geniale programmatore di computer (siamo negli anni dell’avanguardia, gli anni ’50) e lei una casalinga piena di velleità artistiche represse, amata però e compresa dal marito.
Saranno loro due a far scaturire la famosa scintilla, portando il loro bambino al cinema a vedere Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. DeMille. Una scena impressiona Sammy in special modo, lo schianto di un treno contro un’auto. Scena che rifarà non appena potrà cominciare a “girare” i suoi piccolo filmati, i corti, i brevi film che gli permettono di manovrare tutta la materia di cui poi saranno fatti i suoi film.
In questo percorso avrà due momenti negativi, il bullismo al liceo, da parte dei soliti antisemiti e, quello più drammatico, il divorzio dei genitori. Che però era stato preceduto dalla sua presa di coscienza di un grande segreto che gravava sulla coppia, di cui aveva scoperto l’esistenza proprio attraverso uno dei suoi filmati, ritrovando in un fotogramma qualcosa che dal vivo gli era sfuggito (sublime metafora di quello che può essere talvolta il buon cinema).
Con il suo solito stile classico, Spielberg guida un ottimo cast in cui il ruolo del se stesso giovane è affidato a Gabriel LaBelle (American Gigolo la serie tv), il padre è un toccante Paul Dano, la madre è interpretata da Michelle Williams. Il fidato amico di famiglia è Seth Rogen. Musiche (è il caso di dirlo?) di John Williams.
A cosa serve il cinema, quelle ombre in movimento sulla parete della caverna in cui altrimenti ci rassegneremmo a campare, ciechi al resto del mondo? Il cinema esorcizza, trasfigura, consola, spiega, fa crescere, aiuta a vivere. Può servire per fuggire o per trasfigurare il mondo, per capire e salvarsi la vita meglio che una terapia psicanalitica (fossimo capaci di guardare dentro noi stessi e chi ci circonda e capirli così come facciamo con i protagonisti di tanti film amati).
Tutto questo e tanto altro ha fatto di Spielberg il regista che sappiamo, sempre diviso fra emozione e ragione, capace di stupire, appassionare, coinvolgere, commuovere. Che riesce sempre, anche all’interno di una narrazione personale a trovare quel dettaglio universale che tocca il cuore di tutti. Mai dimenticare che siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni e il cinema è sogno ad occhi aperti.
Scheda tecnica
Regia: Steven Spielberg
Cast: Gabriel LaBelle, Michelle Williams, Paul Dano, Seth Rogen
Distribuzione: 01 Distribution
Genere: biografico, drammatico