The Brutalist – Recensione

The Brutalist, film dalla durata record, ci parla di un uomo sfortunato, un artista geniale, che attraverso la sua arte esprime la sua vita.

László Tóth cresce e studia architettura nell’Europa degli anni ’30 alla scuola di Bauhaus, dopo l’avvento del nazismo in quanto ebreo finisce a Buchenwald ma sopravvive. Il film ce lo fa incontrare nei convulsi momenti della liberazione, poi il fortunato espatrio negli Stati Uniti d’America, faro di libertà, promessa di felicità.

Là sopravvive solo grazie a un cugino mobiliere, poco sensibile ai discorsi artistici, incontra però così il miliardario Van Buren (un glaciale Guy Pearce), ricco anche di tutta l’arroganza dovuta alla sua posizione dominante. Il rapporto con lui influenzerà in modo decisivo tutta la sua nuova esistenza, anche quando sarà raggiunto dalla moglie, minata nel fisico dalla detenzione, e da una nipote, ridotta in stato quasi catatonico dai traumi subiti.

Dopo diverse vicissitudini, László viene ingaggiato da Van Buren per costruire un edificio per la collettività sulla collina vicino alla sua magione (siamo in Pennsylvania). László progetta un edificio di cemento, vetro, marmo, luce e acqua, ma di una forma che lascia perplessi molti soci di Van Buren e molti cittadini. Inoltre l’audace costruzione costa troppo e diversi contrasti e un’ulteriore sciagura rimandano il suo completamento di molti anni.

Che László non vive bene, dilaniato dai suoi tanti demoni personali, che crescono con passare del tempo e delle avversità. Il film che inizia nel 1947, si chiude nel 1980 quando l’architetto, ormai anziano e stremato, riceve l’omaggio di una mostra alla Biennale di Venezia, che alfine ne sancisce la genialità.

Adrien Brody Alessandro Nivola

Adrien Brody e Alessandro Nivola, il primo rifugio americano dal cugino.

The Brutalist è un film che ha avuto una lavorazione tormentata, meditato per 10 lunghi anni, posticipato per pandemia e scoppio della guerra in Ucraina (che ha impedito di girare in Polonia) oltre che per successive vicissitudini del cast, lutti e gravidanze, costringendo a un ribaltamento totale del cast che vedeva altri attori nei ruoli principali, si dice Joel Edgerton, Marion Cotillard, Mark Rylance, Sebastian Stan.

Il film è girato in VistaVision con pellicola in nostalgici 70 mm (l’ultimo film girato così è stato I due volti della vendetta con Marlon Brando nel 1961), per ragioni definite “filologiche” (il formato appartiene al decennio in cui è ambientato il film) e, come dice il regista Brady Corbet “permette di inquadrare un palazzo da sei piani da cima a fondo come fosse un volto umano con un semplice obiettivo da 50mm”.

A supportare questa visione Corbet ha voluto nuovamente come direttore della fotografia Lol Crawley alla sua terza collaborazione con il regista. Che dirige e scrive insieme alla moglie Mona Fastvold anche la sceneggiatura di un film che dura 215 minuti, suddiviso in un prologo, due capitoli centrali e un epilogo, con un inusuale intervallo di 15 minuti, distribuito da Universal, prodotto da A24.

Adrien Brody Guy Pierce

L’artista e il capitalista, cosa potrà andare storto?

Come già nel poco riuscito anche se ambizioso Vox Lux del 2018, Corbet dichiara di voler esplorare un periodo storico attraverso la storia dei personaggi che lo hanno abitato. Qui sceglie gli anni del dopoguerra e uno stile architettonico, il brutalismo, corrente architettonica nata verso la metà del secolo scorso in Inghilterra, come metafora di “qualcosa che le persone non comprendono e quindi vogliono abbattere e sradicare».

Essendo un film d’autore, pensato, scritto e diretto dalla stessa persona, l’unico a poter davvero spiegare le proprie intenzioni sarebbe Corbet stesso. In mancanza di dichiarazioni dirette (e in fondo è giusto sia così perché ciascuno deve vedere il proprio film), il film può suscitare interpretazioni diverse. Ci sarà chi si sentirà toccato dal tragico ritratto di un uomo incolpevole, onesto e buono.

Incapace di combattere ad armi pari un sistema sempre abusivo nei confronti dei più deboli, anche quando “salvati da più triste destino”, diventerà lui ancora più debole perché succube di alcol ed eroina, incapace di ristabilire un rapporto con la pur adorata moglie, solo quindi contro il mondo a lottare per portare a termine il suo progetto, che per lui è esigenza vitale.

Felicity Jones Adrien Brody

Un uomo e una donna, un amore devastato dalla guerra.

Questa lettura sarà incoraggiata dalla scelta di affidare il ruolo di protagonista ad Adrien Brody, attore capace di trasmettere i sentimenti del suo personaggio con grande intensità. Brody sta vivendo una lunga carriera ricca di film di qualità altalenante, nonostante la sua indubbia bravura (ricordiamo l’Oscar per Il pianista) e anche qualche serie tv come Peaky Blinders (una stagione) e un paio di episodi di Succession.

In questa lettura di conseguenza si rifletterà una volta di più sulle persecuzioni, sulle tante vite stravolte, sull’emigrazione forzata, sui sogni e le delusioni di vite comunque estirpate e gravate da un carico pesantissimo, che il resto del mondo cercava di dimenticare, inducendo a un silenzio quasi di vergogna chi avrebbe avuto invece molto da raccontare, da denunciare.

E non può mancare una riflessione sul rapporto fra ebrei e “gentili”, fra “loro” e il resto di un mondo che proprio non riesce a capire la fondamentale “alterità”che la Storia ha imposto al popolo eletto. Chi invece sarà più sensibile al tema del confronto fra artista e mecenate, uno non esisterebbe senza l’altro, l’artista deve lavorare per un committente che gli permetta di sopravvivere, il ricco senza le sue donazioni virtuose non diventerebbe mecenate e non passerebbe alla storia per aver commissionato le eterne opere d’arte.

Guy Pearce, eclettico attore, qui in una delle sue migliori interpretazioni.

Fra le due figure che si fronteggiano, László è il sognatore, l’utopista convinto di poter comunicare il suo messaggio con le sue opere (la costrizione delle mura a terra che si aprono verso l’alto nonostante la pesantezza dei materiali come metafora della situazione vissuta da lui e da molti altri).

Lui uomo credente ma non ortodosso, per cui nemmeno nell’appartenenza al suo gruppo troverebbe conforto (compreso un eventuale trasferimento nel neonato Stato di Israele, nuova Terra Promessa). Van Buren ancorato a terra dal suo denaro, dal suo potere, incapace di comprendere davvero l’arte per cui sta pagando, che si atteggia a intellettuale ma nutre un insostenibile senso di inferiorità verso il suo “dipendente” e sfodera la peggiore capacità di concreto sopruso appena ne avrà l’occasione. Colpire i corpi quando non si riesce a piegare lo spirito.

Anche per László gli Stati Uniti saranno Lamerica, luogo sognato di perenne Frontiera, dove gli uomini sarebbero stati liberi di scegliere e percorrere la loro strada, senza sapere che anche là avrebbero prevalso avidità, interesse, egoismo.

Se il sogno americano è stato un’illusione, non ha avuto migliore esito neanche il sogno degli europei che speravano di trovare un mondo dove essere se stessi, senza i condizionamenti di quello vecchio da cui erano stati costretti a fuggire.

Vana speranza e per tanti l’agognato riscatto non è avvenuto allora e, per come vediamo andare il mondo, difficilmente avverrà per i tanti cacciati dalle loro terre anche oggi, che vagano alla ricerca di un mondo migliore.

Scheda tecnica:

Regia: Brady Corbet

Cast: Adrien Brody, Guy Pierce, Felicity Jones, Joe Alwyn, Isaach De Bankolé, Alessandro Nivola, Emma Laird

Distribuzione: Universal Pictures

Genere: drammatico, storico

Pubblicato da Giuliana Molteni

Vado al cinema dalla metà degli anni ’50 e non ho mai smesso. Poi sono arrivate le serie tv.