Succession Serie Tv – Recensione

Nella splendida serie tv Succession, arrivata alla sua conclusione dopo 4 stagioni, si racconta la devastazione di una famiglia di miliardari su modello Murdoch.

Nel 2018 in mezzo al fiume di serie tv che ormai da anni inonda le nostre vite, è arrivata anche Succession. A una prima occhiata era un prodotto HBO, quindi già una garanzia di qualità.

Era però interpretata da un cast medio, qualche attore noto ma non notissimo come Brian Cox, qualche altro attore come Matthew Macfadyen e Hiam Abbass (i più cinefili riconoscevano), molte facce note da altre serie tv di qualità, un emerito sconosciuto come Jeremy Strong, un fratello di tormentata dinastia Culkin, Kieran, abbonato a ruoli da disturbato antipatico, alcune novità assolute.

La sinossi su Wikipedia recitava: “La serie segue la famiglia Roy (composta da Logan, la moglie Marcia e i quattro figli avuti da differenti matrimoni) che controlla la Waystar-Royco, uno dei più grandi conglomerati di media e intrattenimento del mondo.” Ancora più stringata, Sky ci diceva: “Creata da Jesse Armstrong, la pluripremiata serie sulle vicende dell’anziano proprietario di un impero delle comunicazioni, che deve decidere a chi lasciare la sua eredità.”

Per bulimia più che per curiosità, l’appassionato serial addicted aveva guardato. Ed era scattato l’innamoramento. Una cosa di nicchia, all’inizio, perché Succession, priva appunto di divi, narrava una storia in fondo già vista e sentita, l’arroganza e l’infelicità dei felici pochi, quelli che tengono le redini di informazione, politica, finanza negli USA di oggi, ma disturbati emotivamente e da questo influenzati nella gestione del loro immenso potere.

Brian Cox, Kieran Culkin, Jeremy Strong, Sarah Snook, Nicholas Braun, Matthew Macfadyen, Alan Ruck
Gruppo di famiglia in un interno.

Eppure già ai memorabili titoli di testa, accompagnati dalla splendida suite scritta da Nicholas Britell, tema musicale che ricorrerò spesso nella narrazione, si era intuito lo stacco, l’originalità, la diversità.

In una fotografia sgranata, quattro ragazzini, si muovevano in uno scenario di lussuosi palazzi, di ville pretenziose, parchi sterminati, tavolate servite da personale in divisa, compleanni da festeggiare a dorso d’elefante. E un padre, visto sempre di sfuggita, mai ben inquadrato, da imitare magari fumando un gigantesco sigaro.

Un padre che nel finale si allontana, di spalle, e i ragazzini sotto il portico della magione famigliare, si voltano a guardare quelle spalle girate, quella presenza/assenza che sarà lo strazio della loro vita. E poi a cascata, tutto si è fatto notare, i dialoghi smozzicati, l’impiego costante della camera a mano, un uso dello zoom che si faceva narrazione.

Jeremy Strong, Sarah Snook
Una delle solite feste che nessuno si gode.

Il potente magnate Logan Roy (Brian Cox) è una specie di Rupert Murdoch all’ennesima potenza, un uomo che dal basso con tenacia e ferocia ha scalato ogni piramide di successo possibile, nel campo dell’informazione e dell’intrattenimento, diventando arbitro di giochi a Wall Street e a Washington, potente e odiato.

Un uomo che, per vendicarsi forse di quanto subito nella sua ascesa al potere, rincara la dose fra i suoi sottoposti, che devono pagare a caro prezzo il privilegio di potersi arricchire lavorando per lui (ma mai quanto lui). L’uomo ha quattro figli, da due diverse mogli, sposato adesso con una terza, tutte tradite, tutte comprate.

I figli sono quelli sui quali sembra accanirsi con più voluttà, disprezzandoli, insultandoli, blandendoli poi in extremis con promesse che non manterrà, costringendoli a penose giravolte, ad alleanze fragili, a ripulse subito rientrate. L’importante è tenerli divisi e così sempre deboli.

Kieran Culkin Sarah Snook
Jeremy Strong
Un momento di fragile tregua fra i tre fratelli/coltelli.

I quattro personaggi sono interpretati da Alan Ruck, che è Connor, il maggiore, un megalomane totalmente fuori dalla realtà, e i suoi tre fratellastri: Roman (Kieran Culkin), il viscido, lo psicopatico, il rospetto di famiglia; la statuaria e glaciale Shiv (Sarah Snook, una rivelazione), e Kendall, interpretato da Jeremy Strong con un metodo (si dice) alla De Niro, un’interpretazione eccelsa, che fa del suo personaggio uno dei più sfaccettati e toccanti della serialità.

Intorno il gruppo di amministratori, avvocati, assistenti fra cui segnaliamo la veterana J. Smith Cameron. E poi tutto il resto della corte, altri memorabili personaggi come il “principe consorte” di Shiv, il sempre ambiguo Tom di Matthew Macfadyen e Greg, il parvenu, giovane scalpitante nipote in cerca di considerazione, l’altissimo Nicholas Braun.

Nella serie compare anche Alexander Skarsgård, il ricco europeo della nuova economia che vorrebbe rilevare l’impero del vecchio Logan, che sembra intenzionato a cedere il suo gruppo, e non ai suoi figli, un colossale agglomerato di mezzi di comunicazione e intrattenimento ambito per poter manovrare le folle, influenzare l’informazione, mentendo e sapendo di mentire in caso di necessità (memorabile l’episodio della quarta stagione dedicato alla notte delle elezioni presidenziali).

Matthew Macfadyen Sarah Snook
Un rapporto sentimentale devastato dall’ambizione.

Ma anche ogni singolo elemento del cast di contorno tocca la perfezione, quanto a scrittura e recitazione, mentre ricrea un microcosmo di agghiacciante cinismo, di opportunismo che sfiora l’autolesionismo, compresi gli altri potenti uomini d’affari, i politici, i consiglieri e i giornalisti, gli addetti stampa e via via scorrendo lungo tutto quel vasto ambiente che ruota intorno al potere.

Forse nessuno di questi attori avrà più l’occasione di risplendere come in questa sceneggiatura, scritta da Jesse Armstrong, autore del film Four Lions e delle serie tv The Tick of It, Veep, Babylon, che già nel 2010 aveva pronta un suo lavoro sulla vita di Rupert Murdoch.

Fra i produttori (circa una cinquantina) troviamo Adam McKay, sempre attento agli eccessi del libero mercato (ricordiamo il suo film La grande scommessa e poi Vice su Dick Cheney e Don’t Look Up) e Will Ferrell che, se come attore ha prediletto ruoli demenziali, ha dato maggiori soddisfazioni come produttore, con film molto più interessanti.

Kieran Culkin Sarah Snook
 A passo di marcia verso il potere.

Succession non è Billions, non è Dallas o Dinasty, non si pensi ai ricchi che anche loro piangono. Succession è quasi un docu-drama, da guardare esclusivamente in originale con sottotitoli, per non perdere le sfumature della smozzicata recitazione, della fumosa vaghezza di certi dialoghi, delle esitazioni, dei detti e non detti che il gran cast originale ci regala.

È il quadro crudele di un mondo che vive a parte, in cui tutti oscenamente sgomitano per entrare, se non hanno avuto la fortuna di esserci nati o esserne diventati parte per matrimonio o contratto di lavoro. Un mondo da cui non vorranno uscire nemmeno se sottoposti alle umiliazioni più sanguinose, all’offesa gratuita, agli stress più devastanti, sempre pronti alla giravolta, all’inchino che può degenerare nella sottomissione a novanta gradi.

Chi sta intorno al “cerchio magico” deve adeguarsi a costo di rinunciare a se stesso o a pagare un prezzo molto alto. Come si misura la qualità della vita fra gente così, cosa è per gente così la “felicità”? Logan Roy gioca il suo gioco, che ben conosce, il gioco delle notizie che creano il potere, il potere che fa fare sempre più soldi, che permettono di comprare cose e persone, sentimenti e cariche politiche.

Brian Cox
Il tycoon, il satrapo, Crono, il leader.

Ma banalmente non gli affetti. Importa, si dirà, con tutta quella ricchezza e quel potere? A vedere le vite francamente orribili dei protagonisti, no, che transitano senza guardare in luoghi di lusso totale, vivono in appartamenti con vedute spettacolari o frequentano ville toscane o altre case di lusso sparse nel mondo, accuditi e riveriti da coorti di silenziosi servi, isolati dalla plebe su aerei privati, limousine lucenti, barche ed elicotteri, nutriti di cibi e bevande raffinate.

Nulla però sembra essere realmente goduto e anche il sesso è ovviamente materia di scambio, mentre si perdono le poche persone decenti che si incontrano e si subiscono affronti sempre più sadici dal padre-Crono, che gode nel far sanguinare i propri figli prima di divorarli. Eppure loro baceranno sempre la mano di chi li ha colpiti, come cani che continuano ad amare il padrone che li prende a calci, scegliendo con cura di colpire dove fa più male.

Meglio di un trattato psicanalitico, Succession spiega la gioia del vassallaggio, la convinzione con cui tanti si sottomettono felici a quello che hanno deciso essere “il padre-padrone” (il leader) perché ne avevano bisogno, resi dipendenti da questo rapporto malato proprio dallo stesso che poi farà strame di loro.

Mentre il vecchio ha mostrato i denti al mondo, la generazione successiva, ricoperta di soldi e potere non ha che da leccarsi le ferite, arroganti e sprezzanti senza essersi meritati nulla, mai all’altezza dei patriarchi fondatori, impegnati nel vano tentativo di costruirsi esistenze autonome senza però rinunciare ai privilegi dello sterminato patrimonio famigliare.

Sarà una strada costellata di devastazioni emotive, di sentimenti macellati. Qui, anche i ricchi, almeno quelli giovani, si disperano. Parafrasando la famosa canzone dei Beatles “They are real nowhere men, sitting in their nowhere land, making all their nowhere plans for nobody.”

Scheda tecnica

Ideata da Jesse Armstrong

Cast: Brian Cox, Kieran Culkin, Jeremy Strong, Sarah Snook, Nicholas Braun, Matthew Macfadyen, Alan Ruck, J. Smith-Cameron, Peter Friedman, Hiam Abbass, Alexander Skarsgård, James Cromwell, Hope Davis, Holly Hunter, Danny Huston

Distribuzione: HBO/ Sky

Genere: drammatico

Pubblicato da Giuliana Molteni

Vado al cinema dalla metà degli anni ’50 e non ho mai smesso. Poi sono arrivate le serie tv.