Abbiamo un solo mondo, teniamocelo stretto.
Negli ultimi anni Disney ha prodotto/distribuito fin troppi film, con un rapporto quantità/qualità non esaltante. In occasione del centenario della magica Ditta, arriva adesso sui grandi schermi Strange World, un film preceduto da non grandi aspettative eppure capace di sorprendere piacevolmente. Perché i soliti, inevitabili “messaggi” politicamente corretti e le notazioni a tutti i costi sull’inclusione (che qui spaziano da un ragazzo dichiaratamente e felicemente omosessuale a un cagnone con tre zampe) arrivano senza troppo infastidire, immersi in una storia avventurosa che fa del rapporto padri/figli e del rispetto dell’ambiente solo lo sfondo per mettere in scena una serie di simpatici personaggi.
In special modo sono piacevolissimi i primi minuti del film, in cui i personaggi vengono introdotti come fossero i disegni piacevolmente retrò di un fumetto avventuroso stile anni ’40. Poi l’inizio della storia rimanda ai film avventurosi che tanto ci piacevano da piccoli, mentre il coloratissimo, gommoso, elastico mondo in cui si svolgerà l’avventura successiva è di tale delirante fantasia da ricordare altri piccoli capolavori di genere come Piovono polpette, mentre certi panorami rimandano ai disegni di Roger Dean. Ma in generale le creazioni visive, i colori e la consistenza quasi fisica del disegno si impongono all’attenzione.
Incontriamo la mitica Famiglia Clade, dove il mestiere di esploratore si trasmette generazione dopo generazione. Ma il punto di rottura arriva quando l’indomito padre Jaeger non riesce a convincere il figlio Searcher a proseguire con lui una pericolosa esplorazione, volta a scoprire sempre cosa si trova dietro un’altra vetta, oltre l’ennesima catena montuosa. Che non si sa a cosa porterebbe, mentre il ragazzo lungo la strada ha trovato una nuova specie di pianta, il “pando”, capace di fornire al loro mondo, Avalonia, l’energia elettrica necessaria per far decollare l’economia. Una strategia quindi che porterebbe a immediati risultati o un sogno da perseguire nell’incertezza? Su questo dilemma i due si separano e passano ben 25 anni.
Ritroviamo il ragazzo ormai adulto e con famiglia in una valle rimasta chiusa su se stessa ma felicemente autosufficiente. Anche Searcher però ha il cruccio di un figlio, Ethan, che non vuole seguire le orme paterne, nella solita altalena generazionale. Un misterioso male però inizia ad affliggere la pianta vitale e il dissenso esplode quando Searcher, che per tutta la vita si è sentito agricoltore e non esploratore, è costretto a partire per una missione che dovrebbe risalire alle cause del male. Durante il viaggio farà un incontro epocale e una serie di eventi a catena porteranno tutti i personaggi coinvolti nell’avventura a rivedere i loro precedenti atteggiamenti, fra loro e nei confronti dell’habitat che li circonda, in un confronto tenero e movimentato fra tre generazioni, capaci di trasmettere un lascito diverso ma sempre valido per far andare avanti questo nostro stanco mondo.
Strange World è un film avventuroso e vivace, con un anomalo e divertente gruppetto di personaggi immersi in un ambiente di tale splendida assurdità da costituire il vero punto di forza della narrazione, che sequenza dopo sequenza non smette di stupire per la quantità psichedelica di fantasiosissime invenzioni visive messe in scena. Nel cast originale le voci dei protagonisti sono affidate a Jake Gyllenhaal, Dennis Quaid, Alan Tudik è il narratore. Da noi Francesco Pannofino doppia il caratteriale Jaeger, mentre Marco Bocci è il figlio Searcher. Dirige Don Hall insieme a Qui Nguyen, che anche scrive la sceneggiatura. Di Hall ricordiamo i film precedenti Raya e l’ultimo drago, Oceania, Big Hero 6.
Fra Flash Gordon e Indiana Jones, Jules Verne e Viaggio al centro della terra (e del corpo umano) e citazioni di film come Avatar e King Kong, Strange World (e di mondi strani ce n’è più d’uno nel film, fuori e dentro di noi), ci ricorda che non si deve dare niente per scontato, mai confidare che il proprio modello sarà condiviso dai nostri eredi, che invece lo dovranno farlo proprio riadattandolo a loro e ai loro tempi. Perché quello è il futuro, che si deve distaccare dal passato, senza dimenticarlo.