Rheingold L’oro del Reno – Recensione

Con Rheingold, L’oro del Reno, il regista turco Fatih Akin ci racconta un’epopea criminale alla Guy Ritchie.

Giwar ha avuto un’infanzia difficile, dopo i primi anni felici, come figlio di un appartenente all’establishment iraniano per meriti artistici, ai tempi dello Scià Reza Pahlavi, caduto in disgrazia all’avvento di Komeini perché di etnia curda.

La famiglia è stata costretta a fuggire, passando per tutta la dolorosa trafila dei profughi, per approdare in Germania, dove la fama del padre poco alla volta ha riportato a un discreto benessere. Ma i danni erano già stati inflitti e Giwar cresce storto, misurandosi personalmente contro diffidenza, razzismo, intolleranza, segregazione.

Se il mondo ha deciso di respingerlo, di sminuirlo, di emarginarlo, Giwar reagirà colpo su colpo, con durezza sempre maggiore, restituendo al mondo la violenza che ha subito fin da piccolo, materiale e morale.

In questo selvaggio procedere in giro per l’Europa, da Bonn a Parigi e Stoccarda, passando anche per la Siria, mentre avanza sbaglia, paga e impara. Non per questo si pone un limite, anzi, si lancia verso l’infinito.

Emilio Sakraya
Uno dei molti momenti “siberiani” di una vita borderline.

Ha cambiato tanti soggetti nella sua carriera Fatih Akin, da La sposa turca a Crossing Bridge e poi Soul Kitchen, Oltre la notte, Il mostro di St Pauli. Questa volta racconta una storia vera, nella quale ritornano tanti temi a lui cari, la dolorosa fuga dal paese natale, la difficile immigrazione, l’impossibile integrazione che come spesso accade degenera nella delinquenza, ma su tutto l’importanza della figura materna, che riesce a rimettere in riga le priorità (come sembra sia accaduto proprio al regista), nell’assenza colpevole di quella paterna.

Tutto questo potrebbe far pensare a un film pesante, uno dei tanti che mostrano l’impossibile convivenza in paesi in cui ci si sente sempre estranei. Al contrario Rheingold, L’oro del Reno (chi ama Wagner capirà), si rivela un’avventurosa formazione, un heist movie, una storia di amicizia e di riscatto.

Tutto è raccontato con un tono alla Guy Ritchie (qui parliamo del suo ultimo film), che viene in mente per vari elementi, per il gruppo multietnico dei vari amici, l’escalation delle carriere fuorilegge, le gerarchie all’interno dei malavitosi, la frequentazione di locali dove succedono le cose più surreali, le bravate assurde, il sesso disinvolto e alla fine il colpo grosso che sterza la vita, anche se a cambiarla davvero sarà la musica, in questo caso il rap.

Emilio Sakraya,
Un passaggio indispensabile, la benedizione di un Padrino.

Le canzoni nel film hanno il testo in tedesco (che è la lingua originale) e sono state affidate per l’adattamento a Frankie H G , ugualmente consigliamo la versione del film in originale con sub, per il mix di linguaggi con cui è girato.

Il film dura due ore e mezza che offrono comunque una varietà di toni e ambientazioni che non annoia mai. Risultato cui contribuisce un cast di facce poco note, tutte scelte alla perfezione a partire dal protagonista adulto che è Emilio Sakraya. Ma nessuno dei comprimari è da meno.

Il film, distribuito da I Wonder Pictures come i due altri recenti Piggy e The Whale, è tratto dalla biografia dello stesso Giwar Hajabi, in arte Xatar, “Evetything or Nothing: We Say the World Is Yours”.

In parte questa promessa per lui si è avverata. Giwar aveva qualcosa da mettere sul piatto della bilancia, per compensare le sue qualità negative di malavitoso, di ribelle respinto che per reazione a sua volta respinge: aveva una creatività, delle doti artistiche che lo hanno salvato.

Capita ad alcuni, non a tutti. Quanto all’oro nel Reno, chissà, forse è davvero solo una leggenda.

Scheda tecnica:

Regia: Fatih Akin

Cast: Emilio Sakraya, Iles Raoul, Arman Kashani, Mona Pirzad, Sogol Faghani

distribuzione: I Wonder Pictures

Genere: drammatico, azione

Pubblicato da Giuliana Molteni

Vado al cinema dalla metà degli anni ’50 e non ho mai smesso. Poi sono arrivate le serie tv.