Con Parthenope Paolo Sorrentino torna ancora una volta nella sua amata città, a raccontare rimpianto, nostalgia e scontento.
Possono la giovinezza (Youth) unita alla Grande Bellezza garantire la felicità propria e, quasi per osmosi, quella di chi ci circonda? La sicurezza che avvolge chi vive il fiore dei suoi anni in un luogo che Dio, la Natura o il Caso hanno ricoperto di ogni bellezza, riuscirà a proteggerlo dalle ingiurie della vita?
Tante sono le domande che lo spettatore si potrebbe fare, durante e dopo la visione di Parthenope, il nuovo film di Paolo Sorrentino. Perché di spunti, di discorsi, di battute, ce ne sono tante da rimpiangere di non aver guardato il film con un block notes e una penna a portata di mano. E ciascuno, mai come in questo caso, vedrà il suo film, costruirà il senso in base alle sue attitudini, enucleando dai 136 minuti della narrazione quello che gli conviene.
Innegabilmente però di materia ce n’è tanta, perché Sorrentino, come ben sanno i suoi ammiratori e i suoi detrattori, ama abbondare, caricare, affollare i suoi lavori di personaggi, di sottotrame, di facce, di panorami, di interni, di abiti, suppellettili e oggetti di scena, e meravigliosamente, di musiche, facendone oggetti complessivamente ammalianti.
“Non c’è né rimpianto, né nostalgia, né malinconia, c’è il passaggio dell’età”, ha detto Sorrentino in un’intervista, “La verità non fa parte della giovinezza, è un luogo dove si ha a che fare con l’insincerità, si ha a che fare con il sogno, si fa un racconto epico di sé, si balla da soli davanti lo specchio. Questo racconto si interrompe quando si entra nella fase etica e si esce da quella estetica, quello che sei non ti piace e fai tentativi per uscire da te stesso, senza riuscire, fino a quando finisci per accettarti”.
“Siamo stati bellissimi, e, in mezzo, così infelici”
Parliamo di persone, parliamo di città, che sono fatte di persone. Nel 1950 a Napoli nasce nelle acque del Golfo Parthenope (Celeste Dalla Porta), chiamata così in nome della meravigliosa città che si ammira dai terrazzi della villa dei suoi genitori, di fascinosa decadenza.
Cresce bellissima e ben conscia del suo fascino, mutuando il suo rapporto con il mondo proprio sulla sua seduttività. Il che non le impedisce, sotto quel bellissimo aspetto, di avere della sostanza, di frequentare proficuamente l’Università dove conosce un ruvido Professore (Silvio Orlando), l’unico uomo che si rapporterà a lei come se la sua bellezza non esistesse.
La narrazione la segue a blocchi di anni, lungo una serie di rapporti e incontri, rapporti d’amore e incontri comunque sempre impostati sui sentimenti che lei suscita negli altri, mentre procede nella vita come avvolta in un mantello protettivo dalla sua bellezza.
La bellezza non può salvare tutti.
Un ragazzo, amico d’infanzia, l’ amerà per sempre, il fratello l’amerà troppo, il padre e la madre troppo poco. Le donne la invidieranno, gli uomini la vorranno. Sempre bellissima, poco alla volta Parthenope cresce, passando attraverso luoghi e simboli di quella Napoli che è facile vedere riflessa in lei, fra sensualità e sesso, volgarità ed eleganza, apparenza e sostanza, bellezza e squallore, insulto e poesia.
Nel 2023, da insegnante di antropologia ormai in pensione (con le fattezze di Stefania Sandrelli), ogni passione spenta, capirà quello che il vecchio Professore le aveva spiegato tanti anni prima, quando ancora non poteva capire. Del resto, come canta Riccardo Cocciante con la sua splendida canzone in una melodrammatica, indimenticabile sequenza, Era già tutto previsto.
Parthenope, donna e città, vuole tutto ma niente vuole dare, incapace di scegliere fra le cose irrilevanti e quelle decisive, volendo risposte senza saper fare le domande giuste, convinta che “la giovinezza sia come la guerra, spalanca tutte le porte”, per citare alcune battute del film, che si apre sulla frase di Céline “Come è enorme la vita, ci si perde dappertutto.” E più è vasta, più ci si perde.
Parthenope giovane è Celeste Dalla Porta, da anziana è interpretata da Stefania Sandrelli.
Per mettere in scena questa storia, Sorrentino con quel gusto per la coloritura, per l’eccesso anche grottesco che ben conosciamo, usa facce, corpi, luoghi, colori, suggestioni e, come già dicevamo, musiche, con un senso per lo spettacolo che è impossibile negargli.
Il cast, oltre alla protagonista che è l’esordiente Celeste Dalla Porta e alla certezza che sono sempre Silvio Orlando e Stefania Sandrelli, schiera in brevi parti Luisa Ranieri, la diva decaduta, Isabella Ferrari, velata per non mostrare la sua decadenza, e Peppe Lanzetta, che è Tesorone, il pagano cardinale addetto alla cerimonia quasi tribale di San Gennaro.
Marlon Joubert è il giovane boss venerato come un dio, Alfonso Santagata fa l’armatore stile Achille Lauro. Daniele Rienzo è il disperato fratello, Dario Aita l’amico d’infanzia, amante mai riamato (“Siamo stati bellissimi, e, in mezzo, così infelici”). Compare brevemente anche Gary Oldman, ben lontano dal suo Jackson Lamb di Slow Horses, qui reincarnazione dello scrittore John Cheever, triste, solitario y final.
Sui titoli di coda un’altre delle frasi/battute del film e in chiusura solo il rumore del mare, che Sorrentino si porta dentro per sempre. E come sul finale di È stata la mano di Dio scorrevano le note di Napule è, anche qui viene in mente Pino Daniele e i versi alla fine della canzone Anna, “….e allora, sì, ti cercherei, forse per sognare ancora, sì, ancora, dimmi se è così lontano il mare”.
Scheda tecnica:
Regia: Paolo Sorrentino
Cast: Celeste Dalla Porta, Stefania Sandrelli, Luisa Ranieri, Silvio Orlando, Gary Oldman, Isabella Ferrari, Peppe Lanzetta, Daniele Rienzo, Dario Aita, Marlon Joubert
Distribuzione: Piper Film
Genere: commedia, drammatico