Pain Hustlers su Netflix racconta l’ennesima storia di sfruttamento del dolore ai fini dell’arricchimento esponenziale di pochi a danno di molti.
Nessun dolore, no, nessun dolore. Questa è una delle esigenze più pressanti della razza umana: visto che morire si deve, a quanto sembra, che almeno avvenga senza soffrire. Spesso però anche la vita stessa può essere una fatica dolorosa, e quindi si vorrebbe un aiuto per alleviare quel peso.
Come farlo? Ma con la chimica, ovviamente, capace di farci passare un semplice raffreddore o una grave infezione, di tenerci calmi anche se siamo devastati dall’ansia, di tirarci fuori dal buco della depressione e rimetterci in gioco. E anche, ovviamente, farci dimenticare il dolore, di qualunque genere.
Dopo lo scandalo dell’OxyContin, sull’America si è abbattuto la sventura di un’altra epidemia, quella del Fentanyl, altra droga oppioide ad altissima dipendenza, mortale in dosi elevate al solo contatto o inalazione.
Sembra che l’America come nazione sia la vittima ideale di queste devastazioni, perché da qualche parte è stato garantito che la felicità e la pretesa di non soffrire sono un diritto costituzionale.
Si festeggia il successo, non importa a che prezzo.
L’argomento è stato trattato su grandi e piccoli schermi. Ricordiamo il film Crisis, con Gary Holdman e Armie Hammer, che parlava della diffusione di OxyContin e Fentanyl attraverso le vicende di un ricercatore, di un ex drogato e di un infiltrato della DEA. Mentre Beautiful Boy (con Steve Carell e un giovane Timothée Chalamet) e Ben Is Back, con Julia Roberts e Lucas Hedges si concentravano della devastazione delle famiglie.
Il documentario di Nan Golding, Tutta la bellezza e il dolore, è un atto di denuncia di un’artista sopravvissuta all’OxyContin nei confronti della Purdue Pharma. Imperdibili le serie tv Painkiller e Dopesick, sulle famiglie criminali (una per tutte, i Sackler), che hanno arricchito le loro aziende avvelenando mezza nazione, così come la tragica serie Euphoria, ambientata fra alcuni adolescenti precocemente addicted e facili vittime di ogni nuova droga immessa sul mercato, visto anche il pessimo esempio di padri e madri.
L’argomento è stato anche ripreso nell’originale rilettura del racconto La caduta della casa degli Usher, ora serie tv su Netflix. Consigliamo anche il recupero di altre serie tv che hanno raccontato di truffaldine bolle speculative, come The Dropout (sul caso Theranos, così come il documentario di Alex Gibney The Inventor), e We Crashed con Jared Leto (sulla società WeWork).
Cosa non si fa per la propria figlioletta.
Arriva adesso su Netlix il film Pain Hustlers, a raccontarci un altro scandalo legato a queste droghe legali. In realtà i protagonisti della storia, gli “imbroglioni del dolore”, non imbrogliavano, almeno lo facevano molto meno di altri, perché in effetti, pur creando legioni di zombie-dipendenti, il medicinale che “spacciavano” attraverso medici corrotti, il Lonafen, il suo lavoro lo faceva in modo eccellente, rispetto ad altri prodotti della concorrenza.
Peccato che il consumo fosse pure lui “drogato” dalle pressioni attuate su una schiera di medici, interessati solo a mazzette, viaggi-premio e ai soliti altri benefit associati a queste attività (l’abbinata soldi/sesso è eternamente valida), che lo prescrivevano non solo per il cancro, ma anche per un mal di pancia e in dosaggi sempre maggiori.
Ma che importa, le vendite esplodono, i fatturati salgono, i premi di produzione pure, tutti perdono la testa, dimenticando che alla base c’è un’infrazione alla Legge e la rovina di migliaia di persone. Quando trionfalmente si quotano in Borsa (quante volte abbiamo visto scene similari) richiamano su di sé l’attenzione delle autorità preposte e inizia il declino.
Una donna in carriera.
L’anello debole della catena criminosa sarà una “rappresentante” dell’azienda, Liza (Emily Blunt), personaggio che seguiremo lungo tutte le fasi della vicenda, dal locale di lap dance in cui la incontra Pete (Chris Evans), direttore vendite di un’azienda sull’orlo del fallimento, nonostante il brevetto di un valido farmaco anti-dolorifico.
Liza farà tutto per amore, amore per la figlia, per sottrarla alla vita che è toccata a lei, per ottenere il rispetto che sempre i soldi si portano dietro e garantirle un futuro migliore. E alla fine per non perdere quella figlia per cui aveva tanto lottato, sempre conscia che la sua fortuna era basata sulla disgrazia di molti altri.
Il film, basato su libro di Evan Hughes, The Hard Sell, è diretto da David Yates, abituato a storie fantasy come alcuni Harry Potter e i due Animali fantastici. Ma in fondo anche questa dei pain hustlers è un po’ favola, ma non a lieto fine, per nessuno.
Uno dei medici in cerca di successo.
Sempre interessante assistere alle narrazioni di questo genere di storie, anche se in fondo si assomigliano tutte, storie di gente che ha sempre sgomitato per uscire da situazioni difficili, per scalare il successo, altri più benestanti ma vogliosi di arricchirsi ancora di più, in mezzo a un mercato illimitato di avidi intermediari disonesti e di clienti, in generale dei poveracci rovinati spesso a loro insaputa.
La pura disperazione è il motore dei personaggi. I dipendenti dell’azienda temono di perdere il lavoro e vorrebbero invece arricchirsi per essere al sicuro in un mondo spietato. “Chi ha tanti soldi vive come un pascià e a piedi caldi se ne sta” (cit.). I malati veri o immaginari cercano l’oblio dai dolori, i medici devono restare a galla in un’attività che con le vecchie leggi di Esculapio ha ben poco a che fare.
L’azienda produttrice nel film si chiama Zanna, che in italiano assume un significato ancora più attinente, nella realtà era Insys, il cui patron, John Kapoor (che nel film è interpretato da Andy Garcia, visto da poco in I mercenari 4) era l’inventore del farmaco che si chiamava Subsys. Alla fine del film, come d’uso, ci sono le immagini e i veri nomi dei protagonisti della vicenda.
Il patron dell’azienda, che è sempre all’oscuro di tutto.
L’ossicodone prescritto liberamente da circa vent’anni, è uno degli antidolorifici oppioidi più diffusi nel mondo e in breve tempo ha reso dipendenti centinaia di migliaia di statunitensi, in molti casi passanti poi all’eroina, per trovare sollievo alle spaventose crisi di astinenza.
Il Fentanyl, oppiaceo sintetico100 volte più potente della morfina e 50 dell’eroina, cui spesso viene mischiato nel taglio con effetti mortali, è oggi una delle droghe più richiesto sul mercato clandestino delle droghe nel dark web e viene acquistato prevalentemente in Cina, paese che è il maggiore fornitore di oppioidi sintetici. Stime al ribasso danno in 10 anni più 800.000 morti per overdose di oppiacei negli USA, superando i morti per armi da fuoco e per incidenti stradali.
E i morti spesso sono quelli che stanno meglio. Il mercato di queste droghe potrebbe avere un’ancora maggiore diffusione se davvero in Afghanistan si attuasse il blocco imposto dai fondamentalisti islamici alla coltivazione del papavero da oppio. Ma queste coltivazioni rappresentano la sopravvivenza per tantissimi contadini, con rimbalzi economiche anche sul Pakistan. E certi i trafficanti sono ancora meno d’accordo.
Ma se possiamo (dobbiamo) accettare l’idea di traffici illegali per diffondere le droghe delle quali evidentemente il resto del mondo non può fare a meno, non è sopportabile che a farlo siano “legalmente” potenti e rispettabili famiglie e aziende americane, veri sepolcri imbiancati che il sistema non può lasciar agire impunemente, guardandoli esultare in Borsa e festeggiare nelle loro magioni, alla faccia delle tante famiglie portate alla rovina.
Scheda tecnica:
Regia: David Yates
Cast: Emily Blunt, Chris Evans, Andy Garcia, Catherine O’Hara, Chloe Coleman, Brian d’Arcy James, Jay Duplass
Distribuzione: Netflix
Genere: drammatico