Con Non così vicino, torna Tom Hanks, attore molto amato, con una commedia sentimentale con risvolti drammatici su una second chance.
Otto è un anziano signore ancora in forma, che vive nei sobborghi di Pittsburgh, una casetta a schiera in una strada privata dove tante cose sono cambiate da quando ci era arrivato, negli anni ’70, con l’amata moglie.
Che non c’è più, così come non ci sono più tanti amici. E anche l’ambiente di lavoro è cambiato e la solita immobiliare truffaldina sta cercando di far andare via i vecchi inquilini per fini speculativi.
Tutto questo concorre a peggiorare l’umore del già poco cordiale uomo, che è diventato una specie di vigilante della zona, che rifiuta di lasciar scivolare nel degrado. Esistono dei regolamenti, perché nessuno vuole più rispettarli? Eppure Otto dovrebbe avere visto che, pur avendo passato una vita a farlo, il risultato non è stato così esaltante.
Otto è scorbutico, scostante, profondamente misantropo e come dargli torto? Non sbaglia infatti a pensare, confermato dalla quotidianità, che l’umanità sia peggiorata, abitata ormai da una massa di idioti incapaci o disonesti.
Il collerico ingegnere detesta un sistema ormai corrotto, ipocrita, fasullo, solo una facciata dietro la quale non c’è più nulla del vecchio Sogno Americano. A sconvolgere la sua infelice routine, arriva una nuova famiglia nella casetta di fronte, una famigliola piccolo borghese di origine messicana, la moglie molto espansiva, il marito pasticcione, due figliolette vivaci e un altro figlio in arrivo.
Otto, che appena può cerca di organizzare il proprio suicidio per ricongiungersi all’amatissima moglie, accoglie i nuovi arrivati con ben poca cordialità. Ma suo malgrado ha inizio una lenta trasformazione, perché per entrambi, Otto e il nuovo nucleo famigliare, la forzata frequentazione porterà a risultati incredibilmente positivi.
La narrazione procede fra i ricordi di Otto, che poco alla volta disegnano il quadro della sua intera esistenza, e l’accidentata quotidianità, intervallata dai tragicomici tentativi di suicidio, che falliscono uno dopo l’altro per eventi esterni.
A una prima parte più vivace, segue una seconda più stiracchiata, difetto frequente di tanti film che durano due ore e potrebbero essere più brevi. Intorno poco alla volta si delineano, a volte piacevolmente, altri caratteri secondari fra cui si distingue quello interpretato da Cameron Britton.
Non può (oggi non si può farne a meno) mancare una digressione narrativa che riguarda un trans gender, un personaggio marginale che però serve a dimostrare come la civiltà fondamentale di Otto non sia solo facciata.
Se ci chiediamo perché scegliere un paffuto ragazzo per interpretare Tom Hanks da giovane, è perché si tratta di Truman Hanks, figlio dell’attore stesso. Ben inserita una bella canzone di Kate Bush, This Woman’s Work .
Non così vicino è il remake del danese Mr. Ove del 2015, tratto a sua volta dal libro L’uomo che metteva ordine nel mondo di Frederick Backman (2012) e a dirigere c’è Marc Forster, che ci fa ricordare altri suoi film sentimentali come Neverland o Ritorno al Bosco dei 100 acri.
La trasposizione made in USA non nuoce alla storia e sono plausibili i motivi del peggioramento del carattere di Otto, che negli anni ne ha subite davvero tante, facendolo arrivare incattivito e solo in un’età pericolosa, troppo vecchio per rifarsi una vita ma non ancora abbastanza per pensare di essere prossimo a lasciarla.
A infastidire è una serie fastidiosa di stereotipi sulla “latinità” della ciarliera ed estroversa dirimpettaia, accentuati dal doppiaggio italiano, e non sappiamo così di cosa sia davvero capace come attrice Mariana Treviño, costretta a una recitazione esagitata e macchiettistica.
In questi tempi di isterica correttezza politica questi luoghi comuni potrebbero, dovrebbero infastidire quanto irritano noi italiani quando veniamo messi in scena, sempre dal mondo anglosassone, come abbiamo visto in tanti film e serie tv da To Rome With Love di Woody Allen a Sotto il sole della Toscana e ai più recenti Love e gelato e Toscana, compresa la tanto chiacchierata White Lotus.
Non tutto è però da buttare nel film, perché è ben descritta la lunga, tenera storia d’amore fra Otto e la moglie, con le sue ridici in ere che sembrano geologicamente lontanissime (anni’70, guerra del Vietnam) e la riflessione sul degrado dei nostri tempi è precisa, condivisibile.
Otto/Tom Hanks ricorda altri film, uno in cui il burbero che diventerà benefico era Jack Nicholson, o Gran Torino in cui Clint Eastwood era un altro vecchiaccio incattivito che detestava gli immigrati latini, o anche altri grandi attori specializzati in personaggi scostanti come Robert Duvall o Walter Matthau.
Quello che salva il film dall’essere una commedia geriatrica imbevuta di buone intenzioni, è l’interpretazione di Tom Hanks (che ormai può salvare qualsiasi film), al quale sicuramente questo personaggio profondamente onesto e pragmatico, pur nella sua spinosità, deve essere piaciuto molto, pur prendendo atto che tanti sogni sono finiti e del volto sorridente di tanti suoi personaggi nell’America di oggi è rimasto ben poco.
Scheda tecnica
Regia: Marc Forster
Cast: Tom Hanks, Mariana Treviño, Manuel Garcia-Rulfo, Rachel Keller, Cameron Britton
Distribuzione: Warner Bros
Genere: commedia