Memory racconta una storia di persone diversamente ferite dalla vita e della loro impossibile felicità.
Non solo di film spettacolari si vive, non solo di storie di supereroi. Ogni tanto il cinema ci racconta piccole storie di persone comuni, mai del tutto normali però, perché la normalità sembra più difficile da raccontare e meno interessante (ci sarebbe da discuterne, sulla normalità e sulla difficoltà a renderla appassionante).
Un primo incontro tutto sbagliato.
Entrambi i protagonisti del film Memory, scritto e diretto dal messicano Michel Franco, dopo Nuevo orden e Sundown, normali sembrano ma non sono. Lui soffre di un precoce Alzheimer, lei è un ex alcolista, abusata da giovanissima.
Sylvia è madre single di una figlia 15enne, lavora in un centro di assistenza per persone con problemi di vario tipo, segue assiduamente le sedute degli alcolisti anonimi, ogni tanto frequenta con qualche sforzo la sorella e la sua famiglia.
Ha rapporti guardinghi con il mondo, diffida totalmente del genere maschile. Del passato di lui sappiamo meno, ha un’elegante casa di arenaria a Brooklyn, viene faticosamente controllato da un fratello preoccupato e un’affettuosa nipote.
Due persone ferite che si riconoscono.
Si incontrano, lei lo scambia per un altro, lo respinge malamente, poi le cose si chiariscono, lei accetta di accudirlo perché l’uomo sembra nutrire nei suoi confronti una tenera attrazione.
Che poco alla volta la sua personalità, limpida e lineare, sembra oltrepassare la chiusura di Sylvia. Ma l’evoluzione della malattia di Saul è veloce e il miraggio di una vita insieme sembra davvero arduo da realizzare.
Come d’uso in queste narrazioni, il film alterna momenti buoni ad altri cattivi, quando tutto sembra andare bene si sa che qualcosa di negativo succederà, a riportare i personaggi alla casella di partenza.
Un momento di imprevedibile rilassamento.
Il film però si chiude su un finale provvisorio e improbabile, eppure velatamente ottimistico, che non convince. Meglio la parte precedente, con il ritratto di Sylvia che si forma poco a poco, che forse era stata una ragazza fragile e per questo aveva cominciato a bere ed era rimasta incinta e per questo aveva smesso.
Oppure che era stata una ragazza abusata e per questo aveva cominciato a bere ed era rimasta incinta e per questo aveva smesso (solo alla fine sapremo il trauma primario). C’è il tema del peso del passato, di come lo raccontiamo, a noi e agli altri (Sylvia accusa e non viene creduta, mai presa sul serio), mentre i suoi ricordi e il modo di affrontare la vita e di educare la figlia, dipendono dalla fotografia che è rimasta come scattata nella sua mente, giusto o sbagliato che sia.
A interpretare la giovane donna è una precisa Jessica Chastain, fredda, pallida e bella come sempre. Intenerisce fin dall’inizio Saul, uomo palesemente gentile e per bene, afflitto dalla sua irrimediabile malattia.
Peter Sarsgaard e Jessica Chastain, un’ottima abbinata di interpreti.
In fondo la situazione è uguale perché la selezione che il suo male compie sui suoi ricordi gli fa mutare prospettiva, lo rende vulnerabile, perché il suo passato, un giorno dopo l’altro, sta diventando a whiter shade of pale, come canta la struggente canzone dei Procol Harum, che Saul ascolta in loop (“anche se i miei occhi erano aperti, avrebbero potuto benissimo essere chiusi”).
Lo interpreta Peter Sarsgaard con tale sensibilità da avergli fatto meritare la Coppa Volpi al festival di Venezia del 2023. La sorella di Sylvia è l’ottima Merritt Wever (Nurse Jackie, Studio 60, Godless), mentre il fratello è interpretato da Josh Charles (The Good Wife, Sports Night, We Own This City).
Il film è distribuito da Academy Two, garanzia comunque di film di qualità, come il recente Creature del cielo.
È solo grazie alla bravura dei due interpreti se sullo schermo funziona lo strano rapporto fra un uomo teneramente goffo, rassegnato e pronto alle scuse, ben cosciente del suo problema, e una donna indurita dalle ingiustizie subite per quasi tutta la vita, incapace di naturalezza nei gesti del normale affetto, perché gravemente lesionata. Ma è nel contesto generale e nel semplicistico finale che il film convince meno.
Scheda tecnica:
Regia: Michael Franco
Cast: Peter Sarsgaard, Jessica Chastain, Josh Charles, Merritt Wever, Jessica Harper, Elsie Fisher
Distribuzione: Academy Two
Genere: drammatico