Due, film, due famiglie, due storie completamente diverse a dimostrare la forza, positiva o negativa, dell’antica istituzione.
Quando in una comunità qualcosa non funziona, si usa accusare la “Società”. Dimenticando che la società è fatta da singoli individui e quei singoli tendono a raggrupparsi nella secolare istituzione della famiglia.
I singoli individui avrebbero dovuto tutti frequentare una scuola, che avrebbe dovuto sopperire agli errori commessi da quei eterni non-professionisti che sono i genitori, mitigando le conseguenze degli sbagli, riempiendo i vuoti culturali, individuando e cercando di rimediare alle carenze affettive, ai danni psicologici. Troppa roba, è chiaro.
Quindi la Famiglia resta il fulcro di una personalità, nel bene e nel male. Due film in uscita in questi giorni, ci hanno fatto pensare a quanto importante possa essere un indirizzo positivo, fin dall’inizio. Che non sottintende chissà quale preparazione culturale ma semplice amore.
Certo anche brave persone si ritrovano figli negativi, ma non è così frequente. Se la famiglia è un luogo di civile tolleranza, di affettuoso sostegno, dove nessuno si immola per nessun altro (perché tutti hanno una vita da vivere e problemi da risolvere), questo non impedisce di amare, comprendere, accogliere chi ci sta a fianco, da un compagno scelto con oculatezza, ai figli, che mai dovrebbero scontare i nostri eventuali errori.
I film di cui parliamo sono Vittoria, distribuito da Teodora Film, e Familia (Medusa) entrambi passati al Festiva di Venezia ed entrambi basati su fatti realmente avvenuti. Vittoria è una parrucchiera di Napoli, donna sulla quarantina, un marito affezionato, tre figli maschi in scala da accudire.
Non ci sono problemi particolari, la vita è faticosa ma tutto funziona, ci sono piani per il futuro, i figli vanno seguiti ma sono tutti a posto. Vittoria però ha un cruccio, da sempre avrebbe voluto una figlia. Ha fatto un sogno in cui l’amato padre, morto per un tumore dopo anni di lavoro in fabbrica, sembra consegnarle una bambina bionda.
Senza spiegare troppo, lasciando allo spettatore formarsi un’idea dei moventi della donna, dei rapporti che legano i vari famigliari, il film con pochi tocchi forma il quadro di un piccolo gruppo esemplare, solidale, affezionato, rispettoso, senza sovrastrutture culturali, come se la bontà e il rispetto reciproco facessero parte del dna e così dovrebbe essere.
Vittoria, una realtà che sembra fiction.
Il film ben diretto da Alessandro Cassigoli e Casey Kaufman (già autori di Butterfly e Californie, cui Vittoria è legato da una continuità) si chiude con un coup de théâtre finale che resterà nel cuore. Il film è splendidamente interpretato da un cast di non professionisti assoluti, i veri protagonisti della storia, su cui svetta la madre di famiglia Anna Amato.
In Familia, diretto da Francesco Costabile, siamo invece nell’ambito della “coppia tossica” da manuale, una donna che sarà sempre succube di un uomo mostruoso, un pregiudicato, violento, possessivo geloso, che però si ammanta del ruolo di pater familias.
Lei proverà più volte ad allontanarlo, per la salvezza propria e dei suoi figli, riuscendoci per diversi anni, ma poi ricadendo nella sua debolezza, riaccettandolo in casa. A quel punto l’uomo, in preda ai suoi incontrollabili istinti, riprenderà gli antichi comportamenti.
La simulazione della normalità.
Ma i figli, nel frattempo cresciuti, non saranno disposti a sopportare di più una tale situazione. Le Autorità poco possono fare e comunque sappiamo che di poco si tratterebbe.
Barbara Rochi è la madre, vittima e colpevole, interpretata da Barbara Ronchi, che ricordiamo in Dieci minuti. Due film e due storie diversissime, uno che fa uscire dalla sala speranzosi sul futuro dell’umanità e pure un po’ commossi, perché sarebbe così bello se il mondo funzionasse così.
L’altro che induce a pessimistiche riflessioni, confermate dallo stillicidio con cui la cronaca nera ci bersaglia quasi ogni giorno. Qui si parla di due gruppi, uno illuminato da un senso di umanità che oggi sembra mancare sempre più, l’altro devastato da un solo elemento sbagliato, ma così potente da infettare tutto e tutti, senza lasciare scampo.
Pensiamo che entrambe le coppie protagoniste di questa storia abbiano subito dalle rispettive famiglie i danni che hanno instradato verso i loro comportamenti. Sarebbe così bello se solo il Bene potesse essere trasmesso per via ereditaria. Il desiderio di vita o l’attrazione verso la morte li respiriamo in casa e si può avere amore da condividere solo se lo abbiamo assimilato fin da piccoli.
Stessa cosa per il valore che una donna dà a se stessa e che conserverà per tutta la vita, se le è stato insegnato. I figli ci guardano, ci ascoltano, l’esempio è fondamentale. Quindi sia Vittoria che Familia sono due film di cui sarebbe opportuno parlare, perché ci sarebbe molto da dire, al di là della solita promozione commerciale.