La storia di Souleymane – Recensione

La storia di Souleymane è un film che racconta una storia come tante ma in modo speciale, grazie a un protagonista particolare.

La storia di Souleymane è una storia come tante, di cui abbiamo già sentito, su cui con qualche variazione sono già stati fatti tanti film.

Sono storie di immigrazione che però non raccontano dei tragici viaggi della speranza (Welcome, Io Capitano), ma si focalizzano sul dopo, sulla legalizzazione che è indispensabile all’integrazione (il dimenticato Tutti per uno, Samba con Omar Sy, The Old Oak o il recentissimo Anywhere Anytime).

Questa però è una storia vera, o intreccio di tante storie vere, di quelle che tendiamo a respingere, per l’impotenza che generano o perché ci infastidiscono, in quanto mettono in forse certe teorie preconcette sull’immigrazione, con un generico rifiuto generato dalla difficoltà dell’argomento.

Perché davvero la ricetta, ammesso che esista, non è semplice. Il tema è caldissimo da decenni e sempre invano se ne discute, perché intanto le persone continuano a patire, a fuggire, a morire. E, vista la quantità di guerre che ci circondano, aumenteranno.

Abou Sangare

L’esordiente Abou Sangare, un interprete eccezionale.

Certo uno su mille ce la fa, tanti magari non meritano, ma solo per l’alta percentuale di disgraziati, obbligati dalle circostanze e pure animati dalle migliori intenzioni, l’argomento meriterebbe una serie riflessione, invece che affidarsi alle diverse propagande, che da destra o sinistra non hanno prodotto un solo pensiero serio sull’argomento.

Siamo in Francia, Souleymane è in attesa dell’accettazione della sua domanda di rifugiato politico (arriva dalla Guinea). Ma lui con la politica non c’entra, lui è scappato per sopravvivere (uno degli aborriti migranti economici), per mandare soldi alla madre disgraziata, che lo ha cresciuto (bene) da sola, vessata anche da superstizioni locali.

Intanto Souleymane lavora come un pazzo, pagando a un “amico” il subappalto dell’account per fare consegne a domicilio, sfrecciando frenetico da un capo all’altro di Parigi, con tutto il corollario di incontri e scontri, di diffuse indifferenze, qualche ostilità e poche gentilezze.

Abou Sangare

Le mille luci di Parigi non sono per tutti.

Il sistema di accoglienza funziona, severo ma preciso, un bus ogni notte lo porta a dormire e lavarsi, e ci sono posti dove mangiare. Anche fra poveracci tutto si paga, anche l’assistenza di un altro immigrato che istruisce i nuovi arrivati sui trucchi da mettere in atto, la storia da raccontare per rientrare nei paletti del Sistema.

Ma la storia imparata a memoria funzionerà, avrà la stessa forza della verità? Cosa vuole il Sistema, vuole l’impeccabile recita a soggetto, vuole l’autentica disperazione e il reale bisogno? Il film è meritoriamente distribuito da Academy Two.

Dirige il francese Boris Lojkine (dopo Hope e Camille), imprimendo alla narrazione una costante pressione, un ritmo incalzante (menzione d’onore anche al montaggio) che genera ansia in chi guarda, immaginiamo vivere in questo modo. Bou Sangare è il protagonista, esordiente assoluto, da Oscar per la sua recitazione (bisognerebbe guardare il film in originale), che consiste nell’essere forse semplicemente se stesso.

Su tanto stress e tanta disperazione cala un finale che volutamente non conclude, che non vuole farci uscire contenti (ah meno male per questo volte lieto fine) o tristi (oh che tristezza, del resto la vita è ingiusta), ma meditabondi, consci della nostra comoda pochezza in merito. Perché davvero chi salva un uomo salva l’umanità e continuare a fare finta di niente è peccato mortale.

Scheda tecnica:

Regia: Boris Lojkine

Cast: Abou Sangare, Keita Diallo, Yaya Diallo, Mamadou Barry, Nina Meurisse

Distribuzione: Academy Two

Genere: drammatico

Pubblicato da Giuliana Molteni

Vado al cinema dalla metà degli anni ’50 e non ho mai smesso. Poi sono arrivate le serie tv.