La stanza accanto, diretto da Pedro Almodovar, racconta che l’amicizia può essere come il matrimonio, finché morte non ci separi.
La scrittrice di successo Ingrid viene a sapere che la sua grande amica Martha, giornalista corrispondente di guerra, persa però di vista da anni, è ricoverata in ospedale con un cancro terminale.
Si precipita a trovarla e riallaccia così il filo interrotto del loro rapporto, ricordi, confidenze, il racconto di due vite vissute intensamente. Il quadro esatto della situazione dell’amica però non lascia speranza. Dopo qualche tempo appare chiaro che la situazione sta precipitando, anche con cure severe Martha morirà.
A quel punto però starà a lei decidere come e anche quando, perché così è lecito che sia. Nasciamo senza averlo chiesto, in mezzo c’è la vita, almeno quella ce la gestiremo noi e ugualmente, dove possibile, anche l’uscita da essa.
Martha chiede a Ingrid di essere con lei in quell’ultimo passaggio e insieme da Manhattan si trasferiscono in una casa in mezzo ai boschi dove tutto dovrebbe concludersi, grazie a una pillola che Martha si è procurata.
Un esempio della cura formale presente negli ultimi film di Almodovar.
Il film di Pedro Almodovar, La stanza accanto, racconta questi ultimi giorni insieme delle due amiche. Per il suo primo film inglese, il regista spagnolo ha chiamato due grandi dive anglosassoni come Tilda Swinton e Julianne Moore, con i bellissimi visi al naturale, non deturpati da filler o altri interventi, a interpretare Martha e Ingrid.
A partire dal romanzo Attraverso la vita di Sigrid Nunez, Almodovar, Leone d’oro a Venezia quest’anno, mette in scena un pas de deux di contenuta emotività, di rarefatta eleganza, con quella cura formale affascinate che è la caratteristica dei suoi ultimi lavori, in cui è abbagliante l’accostamento dei colori, la composizione delle inquadrature, il tutto punteggiato da citazioni pittoriche, letterarie, cinematografiche.
La stessa casa nel bosco ricorda le costruzioni di Frank Lloyd Wright, vengono inquadrati libri, locandine di film, quadri, che rimandano a un immaginario ricco di emozioni vissute all’insegna del glamour assoluto.
Due amiche accomunate da vite fuori dall’ordinario.
La partitura musicale di Alberto Iglesias, spesso descrittiva, ricorda a tratti certi noir hitchcockiani, la fotografia di Eduard Grau si impone per la contrastata morbidezza dei forti colori di vestiti e arredamento, accostati con un amore che emoziona quasi più dei dialoghi.
I temi sono quelli cari al regista, che ne affastella anche troppi, fra tutti la “sorellanza” delle due amiche, vissute sempre in modo anticonformista e indipendente, con la confessione dei rispettivi trascorsi e segreti e bugie (rappresentati in un paio di flashback).
E poi la riconciliazione fra congiunti divisi da annosi equivoci; la malattia, la morte, la cui accettazione trova tutti disposti in modo diverso (“ci sono molti modi di vivere dentro una tragedia”), ma anche addirittura le conseguenze legali (la figura dell’ottuso poliziotto bigotto di Alessandro Nivola, che esercitava questa professione anche il Lo strangolatore di Boston).
Julianne Moore è Ingrid, l’amica che rifiuta l’idea della morte.
E poi il pessimismo dei discorsi dell’amico/ex amante di entrambe Damien (John Turturro), un catastrofista che vede il mondo avviato alla distruzione (e come dargli torto) anche a causa dell’ascesa delle destre e pure un accenno di velata polemica contro la castrante politica correttezza dei nostri tempi.
In tutto questo dissolvimento, in cui le due sublimi protagoniste passano come angeli di sovrumana eleganza e controllata disperazione, restano impressi lo splendore cromatico e la composizione dell’ultima inquadratura di Martha, spettacolare citazione di Edward Hopper. A ostacolare il dilagare del nulla, fanno da barriera l’amore per la bellezza, per la cultura, per i valori umani, le citazioni visive e letterarie.
Questo fa di La stanza accanto, prodotto fedelmente da Warner, un’elegantissima ma fredda messa in scena della tragedia che è la morte e dei dilemmi che suscita, forse appesantita da qualche digressione di troppo e con protagonisti fin troppo cool. Rinfoderi i fazzoletti chi si aspettava qualcosa di straziante come in altri film che raccontavano di temi simili (E’andato tutto bene di Ozon, Truman con Ricardo Darín, Mare dentro con un toccante Bardem, il precursore Le invasioni barbariche del lontano 2003).
Dopo il bellissimo Dolor y gloria del 2019, Almodovar, reso pensoso da età e osservazione del mondo che lo circonda, così diverso da quello dei suoi giocosi e trasgressivi esordi, ci lascia con una ripetuta e malinconica citazione del finale di Gente di Dublino, in originale The Dead, libro di Joyce e film di John Huston: “La sua anima si dissolse lentamente nel sonno, mentre ascoltava la neve cadere lieve su tutto l’universo, come la discesa della loro ultima fine, su tutti i vivi e su tutti i morti”.
Un finale dolcemente pessimistico, mitigato dalla riflessione che traspare. Finisce la vita, forse finirà il mondo, ma a ogni alba che salutiamo significa che siamo ancora vivi e quindi abbiamo l’obbligo di vivere al nostro meglio. Tanto prima o poi comincerà a nevicare.
Scheda tecnica:
Regia: Pedro Almodovar
Cast: Tilda Swinton, Julianne Moore. John Turturro, Alessandro Nivola
Distribuzione: Warner Bros
Genere: drammatico