La misura del dubbio è un “courtroom drama” francese, con Daniel Auteuil, un film processuale rigoroso, senza eccessi all’americana.
Un avvocato penalista deve (vuole) sapere se il suo cliente è innocente o colpevole, per difenderlo meglio in tribunale? La Legge afferma che tutti hanno diritto a un’equa difesa, anche il peggiore degli assassini. Ma in questo modo un avvocato deve venire a patti con la propria anima oppure perderla del tutto.
Il film La misura del dubbio (titolo originale Le fil, il filo) racconta una storia vera. Un uomo viene arrestato e portato brutalmente via dalla sua umile villetta, mentre sta scodellando la cena ai suoi cinque figli. L’uomo è accusato di avere ammazzato la moglie, un’alcolista inaffidabile, rovina della famiglia.
L’avvocato Monier (Daniel Auteuil) accetta la sua difesa d’ufficio, inizialmente per fare un favore alla compagna-collega, poi perché intimamente convinto dell’innocenza dell’uomo. Eppure Monier aveva smesso di esercitare ben 15 anni prima dopo una feroce delusine professionale.
Cosa mai lo aggancia in modo così forte a questo caso, a questo personaggio? O forse non gli par vero di ritrovare fiducia nel suo mestiere, messo così duramente alla prova? Come ci convinciamo, nella vita reale, che una persona sia “buona”, cosa c’è in lui che ci può attrarre o respingere, rendere ostili o solidali?

Daniel Auteuil e Grégory Gadebois, avvocato e cliente si fronteggiano.
E in assenza di concrete prove, in presenza del famoso “ragionevole dubbio”, la Giustizia è in grado di sancire la Verità? Il padre di famiglia resta in galera, i figli vengono affidati allo Stato, mentre passano gli anni fra una fase processuale e l’altra, fino ad arrivare finalmente al processo vero e proprio. Ma i colpi di scena non si esauriscono nel risultato del verdetto, perché altri ce ne saranno e ben più pesanti.
La misura del dubbio, che è diretto, interpretato e in parte scritto da Daniel Auteuil, è un lento e cupo film processuale, che si snoda lungo le varie fasi del procedimento penale, lungo udienze che rifuggono ogni spettacolarità (niente “mi oppongo, Vostro Onore!”) per adeguarsi a un realismo che potrebbe sembrare poco appassionante ma al contrario lascia a riflettere intensamente sulla Giustizia, su chi vi si sottomette, su chi la amministra, su giudici, giurati e avvocati.
E sui colpevoli e sugli innocenti, su vittime e carnefici. Dato che l’avvocato Monier non esercita da 15 anni dopo uno choc ricevuto, inevitabile pensare al ben più commerciale (ma ugualmente valido) Schegge di paura.

Daniel Auteuil e Sidse Babett Knudsen, nel film colleghi e compagni.
Da decenni cinema e televisione amano molto il genere processuale, la lista sarebbe infinita, a partire da La parola ai giurati (1957) con Henry Fonda, a Il buio oltre la siepe con Gregory Peck o Il verdetto con Paul Newman, tutti film centrati sui problemi di chi dovrebbe lottare per la fragile giustizia, avvocati difensori, giurati, giudici (mestieri da esercitare con freddezza, con distacco, senza farsi coinvolgere personalmente).
Ma anche proprio il cinema francese ci ha dato prodotti degni di nota, dai tempi di Giustizia è fatta del 1950 di André Cayatte, fra cui i recenti Saint Omer, La corte, Un’intima convinzione (con un avvocato protagonista nella realtà anche del processo di Outreau, divenuto film anche lui, The Outreau Case), Anatomia di una caduta, Il processo Goldman, La ragazza con il braccialetto.
Qui la storia è tratta dal libro Au Guet-Apens, chroniques de la justice pénale ordinaire, raccolta di casi di vario genere in cui è incorso l’avvocato francese Jean-Yves Moyart, che scrive sotto lo pseudonimo di Maître Mô.

La misura del dubbio, distribuito da BIM, si rivela il miglior film di Auteuil come regista, mentre come interprete non abbiamo bisogno di classifiche. Lo affianca l’ottimo Grégory Gadebois, l’accusato (faccia nota vista in numerosi film negli ultimi vent’anni, spesso diretto da registi famosi, come Woody Allen in Colpo di fortuna), mentre la sua compagna nel film è Sidse Babett Knudsen, che ricordiamo nella bella serie tv danese Borgen.
Il film è ambientato in una cittadina della Camargue e l’insistenza su tori e toreri, che scaturisce da un altro caso di pertinenza del protagonista, si può leggere come un’allusione all’inganno che si cela dietro la figura del torero, solitario, fragile, che sotto la sua elegante cappa nasconde però una spada mortale. Come sempre nella vita, bisogna decidere se essere toro o torero.
Scheda tecnica:
Regia: Daniel Auteuil
Cast: Daniel Auteuil, Grégory Gadebois, Sidse Babett Knudsen, Isabelle Candelier,
Distribuzione: BIM
Genere: drammatico