Con L’ultima settimana di settembre torna Diego Abatantuono in uno dei suoi ruoli da burbero alla fine benefico.
Si può dire che oggi il cinema italiano abbia due “grandi vecchi”, che hanno fatto della ruvidezza la loro chiave recitativa, scegliendo quindi sempre personaggi riconducibili a queste caratteristiche: Diego Abatantuono e Marco Giallini (anche se ha qualche anno di meno), rischiando però così di restare legati a un cliché.
Questo è successo in modo particolare al sempre simpatico Diego Abatantuono, che ha pure deciso di non cambiare mai look per nessuno dei suoi personaggi, sempre rinchiuso in una specie di giubbotto-sahariana, con o senza sciarpa.
Dopo una carriera che ne ha fatto uno degli attori più noti, stimati e amati del cinema italiano, forse anche per una sua intima inclinazione, da anni sta ricoprendo sempre ruoli da burbero scontroso, da grande depresso, da disilluso cinico, da anaffettivo deluso.
Tanto da suscitare talvolta il dubbio che i personaggi siano scritti proprio pensando all’attore, adattandoli alla sua recitazione, che però è diventata monotona, monocorde perfino, come un tono di voce che rende a volte arduo comprendere le sua battute, come una musica appiattita su un’unica nota bassa.
Due generazioni troppo lontane a confronto.
Parliamo degli ultimi suoi film meno comici, Un nemico che ti vuole bene, Tutto il mio folle amore, Una notte da dottore e, adesso, questo L’ultima settimana di settembre. Il film tratto dal libro di Lorenzo Licalzi, è diretto da Gianni De Blasi, al suo esordio su grande schermo.
E forse questo è il motivo per cui non riesce a tirare Abatantuono fuori da se stesso, cosicché il suo personaggio finisce per uniformarsi a tanti altri del recente passato, diversamente da quanto era riuscito a fare Gabriele Salvatores nel suo Tutto il mio folle amore (film del 2019).
Incontriamo Pietro, lo scrittore che non scrive più, sul punto di suicidarsi, infischiandosene del dolore che infliggerà alla figlia e al nipote adolescente, sempre stato un grande egoista. Ma il destino gli gioca un brutto scherzo e l’uomo si ritrova “resuscitato” a doversi occupare del nipote Mattia in pianta stabile, incarico che rigetterebbe con tutte le sue forze.
L’unico affetto rimasto a Mattia.
Neppure il ragazzo del resto lo vuole, questo nonno mai frequentato, sempre arrabbiato con il mondo, scostante e sgarbato. Salta fuori però uno zio paterno, più giovane di Pietro, che sarebbe ben felice di occuparsi del ragazzo e così inizia la solita “avventura” on the road, il viaggio con cui da Lecce Pietro intende andare a scaricare il ragazzo sulla costa romana.
Come dubitare che lungo il viaggio ciascuno dei due imparerà qualcosa di nuovo, su se stesso, sulle altre persone amate, sul mondo in generale? Solo fra i film italiani, senza risalire al Sorpasso e In viaggio con papà, ricordiamo altri road movie come Basilicata coast to coast, Sole a catinelle, Tre uomini e una gamba, Il più bel secolo della mia vita, Pare parecchio Parigi, 50 km all’ora, La pazza gioia, Scordato, e il meccanismo è ben noto.
Fra le musiche del film due antiche hits, Pugni chiusi dei Ribelli e Love, please love me, di Michel Polnareff. Niente di nuovo quindi, anche nel modo di raccontare la storia, che in questo modo riesce a far percepire una certa lentezza a dispetto dei suoi soli 90 minuti di durata.
Prevedibile il finale di questa storia già molto vista, un’elaborazione del lutto con ravvedimento esistenziale, che però non riesce a incuriosire, a coinvolgere. Fra non molto il film sarà disponibile su Prime Video.
Scheda tecnica:
Regia: Gianni De Blasi
Cast: Diego Abatantuono, Biagio Venditti, Marit Nissen, Roberta Mattei, Guendalina Losito
Distribuzione: Medusa Film
Genere: commedia