L’Impero – Recensione

Con L’Impero, il regista Bruno Dumont afferma di volersi riappropriare del genere “space opera”, ma il risultato lascia molto perplessi.

Se fare un film non fosse una faccenda tanto costosa e complessa, talvolta viene il dubbio che un regista lo potrebbe fare per il gusto di prendere in giro pubblico e critica, che in base a gusto, formazione, umore, mestiere, dovranno cercare di spiegare al pubblico o a se stessi, perché il film L’impero sia piaciuto o no.

A noi personalmente non è piaciuto affatto, non ha evidentemente incrociato la nostra sensibilità, non ha stimolato il nostro sense of humor, non ci ha suscitato riflessioni o i paragoni dovuti, non abbiamo colto le allusioni.

Cosa ci racconta, e come, L’Impero, il nuovo film di Bruno Dumont, regista molto amato dai Festival, ex professore di filosofia, il cui ultimo successo è stato France (2021), con Léa Seydoux?

Siamo ad Audresselles, in Francia, un piatto paesino in riva al mare della costa Nord, dove sembra che tutti tirino avanti una piatta vita fatta di poche cose, chi prende il sole, chi esce a pescare, chi ripara cose, chi se ne sta in casa a guardare la tv.

anamaria vartolomei

Non facciamoci mancare le spade laser.

La sorpresa è che tutti sono alieni, che si sono impossessati dei corpi dei terrestri continuando a vivere le loro esistenze. Ma non sono tutti della stessa razza o fazione, no. Alcuni appartengono agli Zero e altri all’Uno (viene in mente il sistema binario con cui funzionano i computer, chissà).

Nello spazio galleggiano le loro rispettive astronavi madri ciascuna con relativo “imperatore”, una donna (Camille Cottin, il Bene) e un uomo (Fabrice Luchini, il Male) quando assumono aspetto umano, perché altrimenti sono una massa informe di energia o luce.

Tutto il film che dura ben 110 minuti, si compone dei loro litigi, delle provocazioni, degli intrecci nei loro rapporti (qualcuno anche tradisce), mentre il fulcro di tutto sembra essere un bambinetto biondo e in salute, con un nome degno della saga di Dune, conteso fra le due fazioni perché è una specie di Messia.

fabrice luchini

Fabrice Luchini, almeno quello.

La cosa migliore di tutto ciò sono le astronavi, disegnate in modo davvero originale e bizzarro (una sembra una cattedrale con tanto di vetrate su modello della Sainte Chapelle di Parigi, l’altra un villone che riprende la Reggia di Caserta).

Che quando atterrano si conficcano nel terreno in un modo che ricorda una chiavetta USB, ma magari quella è una nostra supposizione, e ben rappresentate sono anche le intelligenze aliene prima che prendano corpo umano.

La presenza umana consiste in un imbelle rappresentante della Polizia locale, che interviene quando avvengono fatti cruenti e si ritrovano cadaveri decapitati da spade laser (perché sì, ci sono anche quelle), accompagnato da un Commissario che riesce a esprimersi solo a grugniti e smorfie, come fosse convalescente da un ictus (personaggi già presenti in due mini serie tv di Dumont).

L’astronave simil – Reggia di Caserta.

Nel piatto procedere della storia, qualche raro momento di ilarità è legato alla presenza sullo schermo di Fabrice Luchini, il bieco imperatore degli Zero, in un costume da Arlecchino rivisitato. Preferiamo ricordarlo nel recente La petite o in Marcello mio.

Nella cinematografia di Bruno Dumont, sempre autore oltre che regista delle sue storie, è caro il tema del dualismo, del contrasto e della convivenza fra bene e male. Ma con una storia di questo genere è arduo ritrovare il senso e appunto ci interroghiamo se non sia una pretesa eccessiva, rivolta solo a quella parte di pubblico che ha deciso di apprezzare lo stile di questo personaggio e così per la critica. Gli altri, perplessi.

In un’intervista al tempo della presentazione del film al Festival di Berlino, dove è stato acquistato da Academy Two, Dumont ha dichiarato di non avere avuto intenti satirici (che, aggiungiamo noi, lì ci era già ben che arrivato Mel Brooks), ma di aver voluto riappropriarsi in senso europeo della “space opera”, di un immaginario finito in mano americana.

Questa dichiarazione crediamo sia stata fatta proprio ad arte, comprensibile da chi ben lo conoscesse, ingannevole per gli altri. A quali probabilmente Dumont non è interessato. Poi tutto potrebbe essere metafora della stolida ostilità dell’uomo verso l’uomo, che ama dividersi in fazioni e farsi sempre la guerra, ma sarebbe davvero troppo banale. Una cosa è certa, se ci fosse il premio per il trailer più attrattivo ma ingannevole di sempre, L’impero vincerebbe il primo premio.

Scheda tecnica:

Regia: Bruno Dumont

Cast: Lina Khoudri, Anamaria Vartolomei, Camille Cottin, Fabrice Luchini, Brandon Vliegeh, Bernard Pruvost, Philippe Jore

Distribuzione: Academy Two

Genere: commedia, fantasy

Pubblicato da Giuliana Molteni

Vado al cinema dalla metà degli anni ’50 e non ho mai smesso. Poi sono arrivate le serie tv.