Con Kinds of Kindness, Lanthimos dopo Povere creature torna ad ambientazioni più simili ai suoi primi film, ormai privo però di reale provocazione.
A Yorgos Lanthimos la razza umana non piace. O forse ormai, dopo sette film e il successo planetario di Povere creature, ha capito bene cosa piace a una certa parte di critica e di pubblico, che ambisce a sentirsi eletta a percepire le sue “provocazioni”, le strizzate d’occhio, le allusioni che il regista mette in scena dentro le sue criptiche storie con indubbio gusto estetico E sempre con dei gran cast.
Nelle quali chi vorrà troverà di che deliziarsi, riconoscendo la bravura nella messa in scena e anche qualche citazione colta, chi non vorrà si infastidirà e sbadiglierà (non dimentichiamo che Kinds of Kindness, distribuito da Disney, dura 164 minuti, compresa scena nei titoli di coda).
Per fortuna è suddiviso in tre segmenti (banalmente un film a episodi, scritti da Efthimis Filippou, che torna a lavorare con il regista dopo una pausa di qualche anno), con gli stessi attori a ricoprire diversi ruoli e solo un finale che riallaccia in qualche modo il tutto.
Gli attori che ruotano nei tre episodi sono Jesse Plemons (un attore in costante evoluzione, appena premiato a Cannes per questo ruolo), Emma Stone (ormai musa del regista o viceversa), Willem Defoe (che dove lo metti sta bene).
Emma Stone, la nuova musa di Lanthimos.
Nel primo racconto Plemons è il dipendente di un mefistofelico tycoon di una qualche multinazionale potentissima (Defoe), che per fare carriera si è piegato ad assecondare qualunque follia l’uomo gli ha imposto. Ma a un’ennesima assurda richiesta, si rifiuta e viene espulso dal circolo dorato. Quando incontra una ragazza che gli sembra lontana dal suo ambiente (Stone) si illude di potersi rifare una vita.
Nel secondo Plemons è un poliziotto sconvolto per la scomparsa in mare della moglie (Stone) in un incidente lontano. Quando lei ritorna miracolosamente viva, si convince che non sia veramente lei e le impone delle prove d’amore estreme. Defoe è il padre della donna.
Nell’episodio finale, una donna (Stone) e un uomo (Plemons) sono seguaci di un folle santone (Defoe), che impone ai suoi seguaci ferree regole di “purezza” (tutto è legato al culto dell’acqua e al sesso). I due sono alla ricerca di un essere umano in grado di resuscitare i morti con il tocco delle mani. Quella che ne sarà capace di chiama Mary, sarà una coincidenza?
Meglio soli, che così accompagnati.
In tutti gli episodi compaiono anche Margareth Qualley, Hong Chau, Mamoudou Athie, Joe Alwyn. Nell’ultimo compare brevemente anche Hunter Schafer, la promettente interprete trans gender di Euphoria, in un ruolo però di scarso minutaggio. RMF, personaggio ricorrente che viene citato nei titoli di vari capitoli, è un uomo di cui però non sapremo nulla (l’attore è Yorgos Stefanakos).
Asservimento al potere, complottismo, fede distorta in assurdi santoni sembrano i tre filoni narrativi. Ogni lettura, ogni interpretazione è però superflua, probabilmente Lanthimos leggerebbe ridendo, perché quello è il suo scopo, spiazzare, lasciare perplessi a interrogarsi su qualcosa che non c’è oppure è di scarsa (scontata) sostanza.
Ci impressiona vedere un dito tagliato in diretta, una scopata con scambio di coppia, un rapporto sessuale imposto, una “leccata di rospo” per capire dal sudore la purezza di un soggetto? Sono cosette da poco, crediamo che il regista si sia contenuto per evitare divieti ai minori, quindi non si può nemmeno dire che Kinds of Kindness sia un film per stomaci forti.
Chi è che resuscitava i morti con l’imposizione delle mani?
L’obbedienza cieca e assoluta, in nome della quale arrivare anche all’autolesionismo, è imposta dal potere e quel potere passa anche attraverso l’amore. Vogliamo farne metafora dei nostri tempi, vogliamo leggere le piccole storie come apologhi sarcastici?
Chi ha voglia, si accomodi e continui ad apprezzare Lanthimos, che, avendo capito benissimo come far parlare dei suoi film, si impone di essere disturbante, provocatorio, spiazzante, cinico, nichilista.
Il risultato dipenderà da quale spettatore incontrerà, se memore di ben altre provocazioni da parte di registi come Marco Ferreri, Buñuel, Ken Russell, Kenneth Anger, Jodorovski, in cui il privato alludeva a sociale e politico con una forza dirompente che la repressione di quegli anni rendeva coraggiosa.
Il solito santone in Jaguar.
Oggi ci piacerebbe vedere una vera provocazione, anche se ci chiediamo quale potrebbe mai essere, resi quasi insensibili come siamo da una realtà che supera qualsiasi finzione.
E non ci smuove la sua artistica copia, messa in scena con splendidi interni, arredamenti d’autore, auto clamorose, look bizzarri, musiche da hit e balletti per deliziare le categorie di cui parlavamo all’inizio (a margine, il film si apre sulle note di una canzone di eterna potenza come Sweet Dreams, il cui uso andrebbe però regolamentato per legge).
Quanto al resto delle musiche, nel finale del “balletto” di Stone (anche quello astutamente diffuso dai trailer) la canzone è Brand New Bitch di Cobrah. La colonna sonora, come per Povere creature, è di Jerkins Fendrix, obbligatoriamente “disturbante” (virgolette obbligate pure loro), con ripetizione di note martellanti, dissonanti, stranianti.
Nel vuoto in cui ci aggiriamo finiamo inevitabili vittime di chi ci nutre di cieca fede, sesso, credenze assurde, in cambio di benessere, accettazione, inclusione? Qualunque controllo viene accettato, a qualunque prezzo, pur di non restare soli?
Tutto molto gratuito, commerciale, fine a se stesso, promozione di un autore che rischia di finire sepolto dalla sua stessa capacità, che sta impiegando in modo sterile. Sarcasticamente il film si intitola Kinds of Kindness, pensiamo che l’atto di gentilezza più forte da parte dello spettatore sarebbe non parlare, non scrivere del film.
Scheda tecnica:
Regia: Yorgos Lanthimos
Cast: Emma Stone, Willem Defoe, Jesse Plemons, Margaret Qualley, Hunter Schafer, Mamoudou Athie, Joe Alwin, Hong Chau
Distribuzione: The Walt Disney Company Italian
Genere: drammatico, commedia