Con Killers of the Flower Moon Martin Scorsese prosegue nel suo racconto delle sanguinose origini degli USA.
Cosa si vede, girandosi a guardare la storia dell’umanità? Una scia di sangue lunga secoli e secoli. Siamo usciti dalle caverne per andare nello spazio, dagli alberi siamo passati ai grattacieli, ma questo è avvenuto lungo una catena infinita di violenze e lutti, attraverso invasioni, stragi, inganni, prevaricazioni, sfruttamenti, stupri e torture.
Riferendosi a un periodo più recente, Martin Scorsese ci racconta una storia vera, descritta nel romanzo di David Grann del 2017, avvenuta in Oklahoma negli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale.
Una volta di più vedremo di che lacrime grondi e di che sangue la costruzione degli Stati Uniti d’America, così come stanno facendo tutte le recenti narrazioni sulla Frontiera americana, rileggendo il grande mito con durezza e disincanto, da Il petroliere di Paul Thomas Anderson (che non a caso come titolo originale aveva infatti There Will Be Blood) alle serie tv e ai film di Taylor Sheridan.
Smettiamo di raccontarci le favole, insomma. Questa deriva virtuosa però era iniziata però già negli anni ’60, sotto l’ondata di rifiuto alla guerra in Vietnam, proponendo una nuova lettura della “colonizzazione” americana dei territori indiani.
Un legame di sangue mortifero.
Con Killers of the Flower Moon, ci troviamo nella comunità degli indiani Osage, ai quali sono state assegnate delle terre desolate per toglierseli dai piedi, e invece in quelle terre hanno trovato il petrolio, diventando così più ricchi di tutti i bianchi della zona. Che hanno dovuto mandar giù il rospo, ma meditando come rifarsi.
E il sistema è stato velocemente trovato, un sistema subdolo, vile, crudele, messo in atto dietro una facciata di integrazione e collaborazione, sfociata perfino in molti matrimoni misti. A capo della feroce macchinazione, messa in atto con la leggerezza di chi si sente superiore e quindi si autoassolve, c’è William Hale (Robert De Niro), il bonario King della zona.
Che prende come suo braccio destro Ernest (Leo Di Caprio), il nipote reduce di guerra, uno lento di comprendonio ma sveglio se c’è da fare soldi senza troppa fatica, tutto pur di non lavorare ma spassarsela lo stesso.
La fascinazione di molte donne per il Male.
Insieme a un gruppo di fedeli aiutanti, portano avanti il loro piano criminoso finché non interviene il Bureau of Investigation (precursore del futuro FBI, già sotto comando di Edgar J. Hoover), che cerca di riportare una parvenza di legalità nella zona e castigare i responsabili della lunga strage.
Scorsese si prende tutto il suo tempo per raccontarci la storia, tre ore e mezzo che come spesso abbiamo detto, per un film sono anche troppe. Ma il gusto del narratore e il suo piacere nel cesellare personaggi e situazioni sono palesi e certo la capacità a Scorsese non manca.
E in un paio di occasioni, rende visivamente l’orrore di quanto sta succedendo come solo un grande regista come lui può fare, anche grazie a un cast tecnico di rilievo e ad un gruppo di attori, tutti scelti alla perfezione. Cos’altro possiamo dire su Di Caprio e De Niro, già insieme e singolarmente con Scorsese in altre indimenticabili occasioni?
De Niro, un “padrino” grande come sempre.
A loro si affiancano tanti altri noti o meno, fra cui spicca Lily Gladstone, capace di attribuire grande intensità al suo personaggio, donna quasi di nobile lignaggio rispetto alla marmaglia che le brulica intorno.
Scorsese inoltre si riserva una conclusione che chiarisce il suo intento, mostrare se stesso come un narratore che ha messo in scena in immagini quello che prima era solo un racconto verbale, facendo della parola un film. Quello su cui ci sarebbe da discutere è altro.
Nell’ottica del “buon selvaggio”, gli indiani, pur interessati al denaro e a ciò che con esso si può comprare (e in queste scelte già inquinati dagli occupanti abusivi) sono descritti come inevitabili vittime sacrificali, non per ingenuità, ma per impotenza e per l’incredulità che la Legge permetta simili abusi nei loro confronti.
Quattro sorelle accomunate da un tragico destino.
La dignità e la purezza originali vengono distorte, sporcate, con i nativi assediati dai bianchi parassitari, ubriaconi ladri e nullafacenti, visti da loro con lucidità ma alla cui contaminazione non riescono a sottrarsi, sposandoli anche, stringendo accordi finanziari, ma restando immobili a farsi decimare nell’attesa che un’impossibile Giustizia li fermi.
I bianchi invece, sempre traboccanti arroganza, supposta superiorità e avidità senza fine, ridono di loro e della facilità con cui li circuiscono, divorano, digeriscono ed espellono, a farne concime per una terra che interessa solo per depredarla, devastandola a macchia d’olio come sempre sono andati a fare nel corso dei secoli, dovunque siano dilagati, bassamente, ottusamente, senza nessuna grandezza shakespeariana del Male.
È questa la superiorità della razza bianca? Purtroppo sì, anche se non solo. A ottant’anni Scorsese ha il coraggio di realizzare un film dalla durata poco commerciale (coraggiosa produzione di Apple +, che non ha ancora deciso una data per lo streaming), cupo, angosciante, che intreccia ricostruzione storica a denuncia, western a melodramma, gangster story e poliziesco a nera satira.
La Legge che fronteggia il Capitale.
Se il suo film si concentra su uno specifico fatto storico, non è il caso però di indignarsi per questo ennesimo atto di accusa nei confronti degli Stati Uniti, perché allo stesso modo si sono comportati tutti i popoli occidentali, ma prima di loro anche tutti i paesi volta per volta dominanti anche prima dell’Impero Romano.
Infiniti e desolanti nella loro ripetitività sono gli abusi commessi in nome di una presunta superiorità (fucili contro lance, mitra contro frecce) per poter saccheggiare un territorio nuovo nel quale dilagare. Del resto etica e valori morali non legano con l’espansione.
Che siano stati indiani d’America o delle Indie orientali, neri d’Africa o aborigeni australiani, inuit, abitanti delle Hawaii o del Sud America, sono stati invasi, infettati di malattie, spezzati, schiacciati ed emarginati e ancora oggi le minoranze di paesi in varia misura “colonizzati” sono respinti e soggetti a trattamenti ingiusti.
Tutto questo fa quindi parte della natura umana, così come l’ottusità opaca che fa ubbidire facilmente all’ordine più spietato, il calcolo dell’arricchimento che sovrasta qualunque altro sentimento, l’avidità dell’accumulo che fa perdere la testa e credere di essere intoccabili.
Una “banalità del male” che qui tocca vertici anche esilaranti, perché trasmette l’incredulità su quanto vediamo avvenire per mano di un gruppo di imbecilli capitanati da un vecchio malvagio in delirio di onnipotenza. Ricorda qualcuno? Ricorda tanti, fino ai nostri giorni, perché certe caratteristiche l’uomo non le ha perse, da quando è uscito dalle caverne o sceso dagli alberi.
Dunque un paese è marcio perché marce sono le sue origini? No, non si può continuare in questo modo, dopo le indispensabili ammende, le ammissioni di colpa, le scuse, la cenere sul capo. È però marcio se continua, nei secoli, nei decenni a compostarsi allo stesso modo, fingendo di evolversi positivamente, facendo finta di cambiare perché in fondo niente cambi. Questo è il problema.
Scheda tecnica:
Regia: Martin Scorsese
Cast: Leonardo Di Caprio, Robert De Niro, Jesse Plemons, Lily Gladstone, Louis Cancelmi, Scott Shepherd, John Lithgow, Brendan Fraser
Distribuzione: Apple TV +, 01 Distribution
genere: drammatico, storico