Kandahar è un action con Gerard Butler, ambientato fra spie e integralisti islamici in Afghanistan dopo il frettoloso abbandono americano dell’agosto 2021.
Esiste una tipologia di personaggio consolidata in diversi generi letterari e cinematografici: l’uomo tutto d’un pezzo, poche parole e molti fatti, leale e fedele sempre, coerente ai propri principi anche quando implicano scelte diventate nel tempo discutibili.
Spesso infatti invecchiando si percepiscono le infinite sfumature di grigio in un mondo che si credeva essere tutto in bianco o nero, solo right or wrong. Può essere un militare diventato contractor, un poliziotto passato al mestiere di investigatore privato, un dirigente di qualche discussa multinazionale, un ricercatore in crisi di coscienza, un capace professionista di qualche mestiere appannato dagli anni.
Sarà sempre un uomo laconico, solitario, dubbioso. Ma affidabile e umano. A questo tipo di personaggio sembra affezionato Gerard Butler, in questa fase della sua carriera che si sta svolgendo attraverso film non più di alta fascia, alcuni dei quali però hanno dato qualche soddisfazione, nella loro elementarità da onesto B-Movie (citiamo The Plane).
Lo ritroviamo oggi in Kandahar, in streaming dal 24 agosto su Prime Video, altro film a svolgersi in quel tormentatissimo Medio Oriente dove gli americani sono andati a cacciarsi dopo l’11 settembre.
Un ex soldato e un interprete inseguiti dall’Isis, cosa potrà andare storto?
Moltissimi film sono stati ambientati in quelle aree, Afghanistan, Iraq, alcuni assolutori, altri accusatori, anche con durezza. Talvolta critici nei confronti degli occupanti, altre volte di esaltazione delle doti umane di gente andata a morire lontano da casa per ideale (ma anche per soldi), film che chiedevano allo spettatore di parteggiare per i protagonisti, quando inevitabilmente la situazione precipitava, o di indignarsi per i tanti sporchi giochi politici portati avanti sulla pelle della popolazione locale e dei miliari stessi.
Kandahar curiosamente fa parte del nuovissimo filone dedicato agli interpreti abbandonati, inaugurato da The Covenant di Guy Ritchie, che recita un mea culpa nei confronti di quanti hanno reso il lavoro degli americani possibile in tanti anni di occupazione, ma sono stati abbandonati sul posto quando il Governo ha deciso di evacuare l’area.
Dalla strage dei nativi in poi gli USA sembrano pensare che qualche film possa aiutare a lavarsi la coscienza, come se vedere messe su grande schermo le proprie tragedie portasse qualche conforto a chi sta vivendo ancora peggio di prima grazie alle improvvide politiche americane.
Un militante dell’Isis, un personaggio più sfaccettato del solito.
Ma questi sono discorsi marginali, a film come questi importa mettere in scena quel tipo di personaggio di cui dicevamo, alle prese con situazioni in cui potrà uscire solo grazie alle sue doti eroiche, senza abbandonare però nessun personaggio meritevole dietro di lui. Anche perché spesso questi personaggi marginali ma meritevoli a loro volta si mostreranno importanti per la salvezza.
Butler è Tom, un contractor che collabora con la CIA, portando a termine rischiose operazioni sotto copertura, fra cui una che è diretta contro una struttura nucleare iraniana. Tom sta rientrando in patria, quando si lascia convincere da un suo superiore/amico (Travis Fimmel) a tornare nella zona, in cambio di un compenso che risolverebbe i problemi della sua famiglia per molto tempo.
Nel frattempo però la sua identità è stata esposta a causa dell’imprudenza di un’ambiziosa giornalista. Tom finisce in trappola, costretto una fuga affannosa insieme al suo interprete, che nella missione vede l’occasione per ritrovare la figlia. Il loro punto di estrazione, la loro salvezza, si trova a Kandahar, che dovranno raggiungere passando per Herat e poi per il deserto, incontrando alleati, traditori e nemici in ordine sparso.
Un insolito capo di mercenari occidentali.
Tutti si scateneranno alle sue calcagna, integralisti dell’Isis, servizi di sicurezza iraniani e pakistani. Interamente girato in Arabia Saudita, il film, oltre al solito solido Butler, vede nel cast la faccia nota dell’attore iraniano Navid Neghban, che ha partecipato a un numero infinito di film e serie tv facendo spesso l’islamico cattivo (destino hollywoodiano di tanti ottimi attori mediorientali), qui al suo fianco nel ruolo dell’interprete.
Travis Fimmel (Vikings, Raised by Wolves) è il superiore del protagonista, convertito all’Islam, per renderlo più ambiguo. Ali Fazal (attore indiano) attribuisce spessore al suo personaggio, un emissario Isis.
Che siano soldati o servizi segreti, mercenari o fanatici religiosi, che lottino per la patria, per dio, per i soldi o per se stessi, sono tutti i personaggi sono pedine minuscole di un sanguinoso gioco che travolge e maciulla chi vuole.
Più che nella prima parte, un po’ forzata nella costruzione del pretesto narrativo, il film vale per tutta la parte della fuga, orchestrata come comandano i canoni di genere, pur nella prevedibile retorica di queste storie.
Qui si cerca di dare una dimensione anche agli inseguitori, che agiscono spinti da varie ragioni e, come è nella variegata natura umana, si comportano anche loro in modo diverso, con una specie di civiltà pur nella barbarie, o con la solita elementare ferocia.
Le circostanze però lasciano poco spazio, perché purtroppo in guerra si va (e ci si comporta) come alla guerra. Anche Kandahar quindi entra di diritto nella serie di film dell’ultimo Gerard Butler, dignitosi prodotti commerciali che riescono a fornire l’intrattenimento che promettono.
Scheda tecnica:
Regia: Ric Roman Waugh
Cast: Gerard Butler, Travis Fimmel, Navid Negahban, Ali Fazal
Distribuzione: Prime Video
Genere: drammatico, guerra