Paolo Genovese scrive e dirige un film che vuole essere riflessione su vita, morte e massimi sistemi, priva del necessario guizzo di originalità.
In una notte buia e tempestosa, un uomo, una ragazza, una donna, un bambino, si trovano riuniti dentro una vecchia automobile, guidata da un affabile signore, che fornisce vaghe risposte alle loro domande.
Dopo che li avrà depositati in un vecchio hotel, sapremo quando supponevamo, che i quattro sono anime che si sono perdute, esseri umani che hanno compiuto il gesto egoistico di rinunciare alla vita, ciascuno per un motivo diverso.
Da non si sa chi, hanno avuto in dono la possibilità di cambiare tutto, di tornare indietro a prima del gesto fatale. Questo avverrà solo per loro merito, se cioè comprenderanno il motivo della tragica decisione e cambieranno idea. A questo servirà la figura del loro “Virgilio”, il gentile custode sempre disponibile e attento alle loro esigenze.
Il primo giorno della mia vita, il nuovo film che Paolo Genovese ha tratto dal suo libro, è praticamente la storia di un what if: cosa faremmo se potessimo vedere le conseguenze delle nostre azioni sulla lunga distanza, compiremmo lo stesso gesto, faremmo la medesima scelta? Solo toccando il fondo si può risalire, a patto di non restarci.
L’argomento sarebbe serissimo, la scelta di porre termine alla propria vita nella nostra cultura è avversata e dalla religione addirittura penalizzata. La nostra vita però inizia come un contratto stipulato da altre parti, a nostra insaputa. Poi per molti vivere è una fatica immane, perché subirla oltre ogni limite sopportabile?
Ciascuno avrà la sua risposta, così come ciascuno sarà toccato in qualche o nessuna misura da questo film. Oppure infastidito dalle molte battute vagamente stile Baci Perugina, massime declamate senza partecipazione come verità universali, che di sostanza ne hanno poca, o sono semplicemente banali.
Disturba anche la non riuscita commistione fra l’apologo morale, la fiction da sceneggiato Rai e il tono alla Frank Capra (ma siamo ben lontani). Tanto che si viene colti dal dubbio, se Genovese, dopo la vendita del suo Perfetti sconosciuti, il film che ha avuto più remake internazionali, non abbia scelto questi toni proprio in vista di qualche rifacimento oltre oceano, dove questo genere di film ha goduto di momenti di gloria in anni passati.
Il film soffre anche della sua eccessiva lunghezza, due ore si avvertono tutte perché il tono è monocorde, l’azione suddivisa su sette giorni è ripetitiva, il tono ovviamente cupo, così come le tonalità della fotografia.
Il primo giorno della mia vita è un fumoso mix mistico/new age con “angeli” (che poi sono altro), che guidano vecchie Volvo Station Wagon, anime perse portate in gita come scolaretti da premiare, sottoposti a dure prove per redimersi, invisibili a tutti ma ogni tanto no, tutti messi di fronte alla possibilità di cambiare la propria ineluttabile scelta senza troppa indulgenza (un po’ Scrooge portato sulla propria tomba).
E se e quando si ravvedono, avviene senza particolari illuminazioni, sarebbe bastato fare due chiacchiere con uno psicologo, farsi un po’ di autoanalisi, parlare con gli amici, anche se non per tutti funziona e chi proprio è ben convinto della propria scelta, non si farà convincere. Ma anche su questa tipologia di personaggi, il più interessante, scende come un velo dolciastro un finalino edificante.
Chi, per sua fortuna, non fosse toccato personalmente da qualche triste caso similare, non proverà il minimo coinvolgimento emotivo e avvertirà un leggero velo di noia e disinteresse calare inesorabile, anche se il cast raduna alcuni fra i migliori nomi del nostro attuale panorama, tutti costretti a una recitazione artefatta e rigida.
Paolo Genovese, prodotto ancora una volta da Medusa , torna alle atmosfere surreali del suo The Place, film del 2017 che anche si interrogava sulle infelicità umane e sul libero arbitrio. Il film era il rifacimento della serie tv del 2010 The Booth at The End di Christopher Kubasik e il soggetto era stato rielaborato dal regista, che deve essere stato intrigato dall’argomento e dal tono e forse così ispirato nella scrittura del suo libro nel 2018.
Così come adesso nella realizzazione del film, che cerca una sua via rischiosa allontanandosi dai soliti toni delle commedie italiane, questa volta purtroppo senza un risultato del tutto positivo.
Scheda tecnica
Regia: Paolo Genovese
Cast: Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Margherita Buy, Sara Serraiocco, Gabriele Cristini
Distribuzione: Medusa
Genere: commedia, drammatico