Il libro delle soluzioni – Recensione

Con Il libro delle soluzioni Michel Gondry torna in gran forma poetica, con una delle sue storie surreali e divertenti.

Marc, giovane regista fantasioso e anticonformista, trova difficoltà a finire il suo film, ha contro finanziatori, produttori, distributori. Del resto lui non può nemmeno immaginare di piegare la sua creatività alle bieche regole del commercio, a ridurre il suo capolavoro a qualcosa meno delle quattro ore e mezza della sua durata.

Fugge quindi, con la sua creatura e un gruppetto di fidati ribelli, e si rifugia nel suo buen retiro, la vecchia casa di campagna di zia Denise, fra i monti delle Cevenne, nel sud est della Francia (come ha fatto veramente l’autore a suo tempo). Arrivato lì però, smette di prendere le medicine, che tengono a bada la sua tendenza alla depressione, alla sua maniacalità, bloccandogli però la creatività.

Non si pensi a una sofferta storia sul disagio mentale di un artista, perché siamo in un film di Michel Gondry, che dopo otto anni di inattività è ancora capace di raccontarci gioie e dolori della vita sempre con un tono lieve, di intenerire mentre fa sorridere.

Anche se ci parla di quella che oltre che una crisi personale, è la crisi del cinema per come viene inteso ai nostri giorni, con i film d’autore destinati a una vita difficile.

Pierre Niney

L’ossessione per l’artigianalità.

Qui mette in scena un suo alter ego, un regista pieno di idee, troppe, un artista eccentrico ma geniale che non vuole ordini ma nemmeno consigli, che non si piega di fronte alle abusate regole di mercato e così non riesce a far conoscere al mondo la sua nuova opera.

Un film sui film quindi, nella scia di altri registi come Fellini, Woody Allen, Truffaut, Fellini, Moretti, che hanno gettato luce sui problemi che incontra un processo creativo quando deve farsi prodotto commerciale.

Nella bellissima scena della registrazione di una colonna sonora che esiste solo dentro il protagonista c’è tutto il senso di un film, di una storia, di una vita probabilmente, lo sforzo creativo che esce dall’autore e si deve concretizzare in qualcosa d’altro, immagine, parole, nota, diventando comprensibile per chi non si trovi dentro la sua testa.

Pierre Niney

Per dirigere un’orchestra non c’è bisogno di una bacchetta.

Il libro delle soluzioni è un film spiritoso, buffo e mai lezioso, una presa in giro affettuosa di un artista, delle sue fisime, delle eccentricità, della sua obbligatoria lieve follia che del resto gli fa vedere il mondo in modo diverso e fa di lui appunto un artista. E se quel mondo non coincide con gli interessi dei finanziatori, dei produttori e distributori, si sa che la strada sarà irta di difficoltà, di compromessi (termine aborrito), di tagli e modifiche.

Alla grazia della narrazione si adegua perfettamente Pierre Niney, con la sua tenerezza vulnerabile, gli scoppi di collera improvvisi, la faccia da slapstick, la mimica da cartone animato, petulante e infantile, inaffidabile e maniacale, con il confine fra orgoglio e presunzione che diventa labile, mentre divaga fra le mille scuse che si inventa per non arrivare al final cut del suo film.

Gondry descrive un personaggio che non si può non amare, con i suoi fanciulleschi scoppi di entusiasmo seguiti dalla paradossale disperazione, le paranoie assurde e comiche, le soluzioni improvvisate ma geniali e quelle geniali ma demenziali, tutto descritto con leggerezza e poesia.

Françoise Lebrun Pierre Niney

La meravigliosa zia del personaggio (e di Gondry).

Lo affianca un cast degno, a interpretare il gruppo di esasperati collaboratori, tutti descritti con affettuosa partecipazione, disposti a subire vere angherie per amore dell’arte, ma soprattutto per l’affetto che li lega al loro demiurgo.

E poi l’adorata zia Denise, nei confronti della quale il film è un vero atto di affetto, nella realtà si chiamava Suzette e il film è a lei dedicato (come già anche nel documentario La spina nel cuore, del 2009). Nella finzione è interpretata da Françoise Lebrun, volto notissimo del cinema francese, in carriera dal 1971. Volto noto anche Vincent Elbaz, l’aborrito produttore e c’è perfino un’esilarante comparsata di Sting.

Il titolo del film deriva da un libro che Marc contava di scrivere fin da piccolo, il Libro delle soluzioni, in cui annoterà fatti e riflessioni che dovrebbero portarlo alla fine del suo processo creativo, quel film-monstre che lui per primo non ha coraggio di guardare, sottraendosi con mille scuse alla visione del montato, e figuriamoci del pubblico.

Pierre Niney, Blanche Gardin

Come esasperare anche un collaboratore affezionato.

Perché per un regista il suo film è il più bello che c’è, ma nel momento in cui lo sottoponesse al giudizio del mondo, potrebbe non reggere la delusione di non essere capito, apprezzato.

Risvolto drammatico di un mestiere meraviglioso, che permette di condividere con il mondo i propri sogni, sperando, che il mondo entri in sintonia con essi.

Ma come trovare la forza di esistere anche al di fuori del giudizio degli altri, che ci definisce, noi e le nostre azioni, come magari noi non sentiamo di essere?

Distribuito da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm, abbinata che nei mesi scorsi ha distribuito anche The Whale, Il libro delle soluzioni descrive un mondo amato, l’unico nel quale si vorrebbe vivere, un mondo costruito su misura della propria personale creatività, in una dimensione artigianale, solamente all’interno del quale il regista (Marc o Michel) si sente se stesso.

Come diceva James Franco nel suo The Disaster Artist, “ogni peggiore giorno sul set sarà il migliore dell’intera giornata”.

Scheda tecnica:

Regia: Michel Gondry

Cast: Pierre Niney, Blanche Gardin, Vincent Elbaz, Frankie Wallach, Camille Rotherford, Sacha Bourdo, Françoise Lebrun

Distribuzione I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection

Genere: commedia

Pubblicato da Giuliana Molteni

Vado al cinema dalla metà degli anni ’50 e non ho mai smesso. Poi sono arrivate le serie tv.