Il cinema e l’outback australiano – Articolo

L’Outback australiano, sterminato entroterra australiano di lunare desolazione, è stato scenario ideale per molti generi di film.

Il genius loci nella religione romana era un’entità naturale e soprannaturale legata a un luogo. Per traslazione oggi per genius loci si intende l’insieme delle caratteristiche socio-culturali, architettoniche, di linguaggio, di abitudini che caratterizzano un luogo.

outback

Quindi l’essere umano che abiti una determinata zona può essere influenzato dallo spirito del luogo oppure lo può influenzare a sua volta con le sue creazioni, il suo modo di vivere, la sua stessa natura insomma.

Due visioni contrastanti che ci portano dove vogliamo arrivare, cioè a parlare dei film girati nell’outback australiano, luogo di lunare desolazione, di marziana invivibilità, di bellezza extra terrestre, là dove non contaminato dalla miseria e inciviltà degli esseri umani, che hanno violentato e lordato anche quelle aree lontanissime dalla cosiddetta “civiltà”.

Aree in cui i “bianchi” sono arrivati come sempre da colonizzatori e prevaricatori, imponendo alla popolazione indigena una sorte simile a quella dei tanti altri abitanti originari dei luoghi invasi.

picnic a hanging rock

Picnic a Hanging Rock, nel 1975.

Si è così generato quel movimento dettato dalla coscienza sporca che oggi cerca di rileggere quei periodi storici, compiendo una specie di impossibile ammenda. Se chi deve “civilizzare” fa male il suo lavoro, si genera una specie di normalità del Male.

Lì la dissoluzione di ogni regola morale, di ogni scrupolo umano, vanno di pari passo con la totale degradazione del contesto sociale, perfino dello scenario naturale. E se il processo va avanti da troppi decenni, sarà impossibile qualunque forma di redenzione, per tutti.

L’outback non ha confini precisi, è uno “state of mind” più che un’area geografica, è il “Never-Never”, il Back of Beyond, è la generica definizione per tutta la vastissima area interna del continente australiano (l’80% del totale), il “cuore rosso” del paese, terra non coltivabile per la quantità di ferro contenuta nel terreno, arida e polverosa, nonostante nel sottosuolo siano presenti molte falde acquifere.

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L’iperbole della ferocia nella serie di film Mad Max.

Per il mercato occidentale tutto ha avuto inizio nel 1975 con Picnic a Hanging Rock, film diretto da Peter Weir, ambientato fra un gruppo di fanciulle in fiore nel giorno di San Valentino del 1900, con la messa in scena di una natura misteriosa, primordiale e inquietante, capace di spezzare ogni convenienza sociale, mostrando per la prima volta su grande schermo la formazione rocciosa dell’Hanging Rock.

Ma la serie di film che ha fatto breccia nelle platee internazionali è stata quella leggerissima di Crocodile Dundee, commedia romantica in salsa avventurosa, che mirava a intrattenere e nulla più. Al massimo poteva essere un veicolo per pubblicità turistica.

Poi negli anni molti film sono stati ambienti in quelle zone, con narrazioni di vario genere, altre commedie a volte romantiche, thriller/horror di grande durezza, ma soprattutto storie violente, di denuncia degli orrendi soprusi compiuti sulla popolazione, sulle loro reazioni e sulle conseguenze drammatiche.

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Australia di Baz Luhrmann.

Anche il genere post-apocalittico è stato rappresentato in modo eccezionale, con la serie di film Mad Max, quelli originali degli anni ‘70/80 e la spettacolare ripresa del 2015 con Tom Hardy al posto di Mel Gibson.

Nel genere commedia possiamo citare l’epopea/melò quasi western di Australia, di Baz Luhrmann, con Nicole Kidman e Hugh Jackman, e la digressione “romantico/sessuale” di Sirene, film del 1993 con un giovane Hugh Grant.

Nel deserto del Pilbara si svolgeva parte della commedia romantico/drammatica Japanese Story con Toni Collette (2003). Commedia anche se contaminata con il genere “revenge” è stato pure il film The Dressmaker, del 2015 con una splendida Kate Winslet, impegnata a rifarsi dei soprusi subiti dagli abitanti del miserabile paesello dove era cresciuta, quattro case di legno piantate nel nulla polveroso, dove fra alberi scheletriti, polvere e noia una comunità bigotta strisciava una vita priva di soddisfazioni.

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Kate Winslet in The Dressmaker.

Anche in Strangerland, del 2015 con Nicole Kidman, l’ambiente ha un suo peso nel percorso di disagio psicologico e deriva esistenziale dei personaggi. Su quelle strade verso l’infinito, nel 1994 correva verso Alice Springs il bus di Priscilla – La regina del deserto, con il suo forte contrasto fra la desolazione dei luoghi e lo scintillio artificiale dei protagonisti, che nascondeva desolazioni più intime.

Ci sono stati anche film come Red Dog (2011), tratto da una storia vera, che segue le peregrinazioni di un cane in cerca del suo padrone attraverso tutta l’Australia occidentale, e Tracks (2013), che ilustra l’edificante storia dell’esploratrice Robyn Davidson, che nel 1977 ha attraversato il deserto australiano.

Commedia più demenziale è stata Tre uomini e una bara del 2017, sequel di Tre uomini e una pecora, un gruppetto di amici che si aggirano anche loro nei poco ospitali territori per rimediare a un pasticcio. In The Dustwalker, storia di horror/fantascienza del 2019, un parassita arrivato su un’astronave attaccava i cervelli umani.

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La generazione rubata di Philip Noyce.

Nel 1988 a sparire nell’outback era uno dei figli della protagonista Meryl Streep, nel thriller Un grido nella notte, ispirato a una storia vera. Ben più corposo è l’elenco dei film “politici”, delle storie di denuncia delle atroci violenze inferte alla popolazione locale, della narrazione delle vite dei fuorilegge ribelli, degli indigeni stanchi di soprusi.

Già nel 1990 Tom-Magnum PI-Selleck in Carabina Quigley era un tiratore scelto assunto per abbattere gli aborigeni della zona, che si rivolterà contro il proprietario terriero che lo ha assunto. Ben più tragico è stato La generazione rubata, diretto da Philip Noyce nel 2002 che ricordava lo scandalo dei bambini aborigeni sottratti alle famiglie, la cosiddetta “generazione rubata” (e un orfano aborigeno è protagonista del nuovo film con Cate Blanchett, The New Boy, ancora non distribuito).

Sweet Country, del 2017, con Sam Neill, è quasi un western con le sue chiare correlazioni con la situazione americani/indiani, mentre il più recente High Ground con Simon Baker (2020) ambientato nei primi anni del ‘900, racconta dell’impossibile redenzione di un ex poliziotto, coinvolto in una strage gratuita, che anni dopo dovrà dare la caccia a uno dei sopravvissuti.

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Il Ned Kelly di Mick Jagger.

Ci sono stati tre importanti film dedicati al fuorilegge Ned Kelly e alla sua banda, che è una specie di eroe nazionale, uno dei tanti banditi che, costretti dalla durezza del Sistema, si sono ribellati a vite di feroce miseria, di soprusi senza speranza, là dove valeva la legge del più forte, dove la pura sopravvivenza era una lotta disumana.

Il crimine non era solo risposta dettata da fame e miseria, ma era anche simbolo della ribellione degli immigrati irlandesi contro i soprusi dei dittatoriali inglesi, che li consideravano feccia in quanto ex galeotti, condannati ad esserlo da padre a figlio grazie a una discriminazione feroce e una spietata repressione.

Si tratta di tre film diversamente validi: nel 1970 con I fratelli Kelly, Tony Richardson, uno dei registi “ribelli” di quegli anni, mette Mick Jagger nel ruolo del protagonista, facendo della storia quasi una specie di ballata popolare. Nel 2003 sarà Heath Ledger a interpretare il giovane bandito, insieme a Orlando Bloom.

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Heath Ledger nei panni di Ned Kelly nel 2003.

Ancora più duro e sfrondato di ogni romanticismo è il più recente The Kelly Gang di Justin Kurzel. Ma la prima versione risale al 1906, per mano di Charles Tait, a dimostrare la forza di questo personaggio nell’immaginario popolare.

Il recentissimo Limbo di Ivan Sen, ancora da distribuire in sala o streaming, con l’interpretazione di un redivivo Simon Baker (The Mentalist) riporta ai temi e ai personaggi che rimandano ai film precedenti di questo regista di origine indigena, Mystery Road del 2014 e anche Goldstone.

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LImbo, con Simon Baker.

Entrambi dalla faticosa distribuzione, ricordano alcune storie di Taylor Sheridan, ambientati in quei luoghi sconfinati e vuoti in cui l’animo si perde, dove l’essere umano smarrisce ogni capacità di controllare la propria crudeltà, e la violenza si espande come un virus.

Sono dei western noir di una frontiera devastata, in una terra saccheggiata, morta, corrotta, degradata, di una desolazione che contagia chi ci abita, dopo che ha cancellato le tracce di un’antica civiltà anche se primitiva, sostituita dalla corsa allo sfruttamento, al profitto più bieco.

In alcuni di questi film (il primo è stato L’inizio del cammino del 1971, diretto da Nicolas Roeg) è comparso il famoso attore David Gulpilil, cui è stato dedicato il documentario My Name Is Gulpilil.

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David Gulpilil

È stato un uomo dalla vita privata turbolenta, attore-feticcio per i registi che hanno voluto raccontare storie di un territorio che ha subito violenze alla pari di quelle dei nativi americani, spazzati via dall’occupazione dei “bianchi”, che tanto per non perdere l’allenamento là hanno sfruttato anche altre etnie.

Come i cinesi che fin dalla prima metà dell’800 arrivavano in Australia in cerca di un futuro migliore della miseria delle loro campagne, per trovare un’altra miseria, arida e accecante. Tanti hanno proseguito verso Lamerica, per fare, almeno in quegli anni, la stessa fine.

Nel 2006 è uscito 10 canoe, storia che ripercorre le tradizioni del popolo aborigeno con rispetto antropologico, co-diretto da Peter Djigirr, attore aborigeno famoso, insieme a Rolf De Heer, regista olandese di impegno civile, autore di film importanti come Charlie’s Country (ispirato proprio alla vita di Gulpilil), e The Tracker , che nel 2002 mostrava la caccia spietata di un fuggitivo innocente da parte di tre poliziotti a cavallo e una guida aborigena, metafora di un genocidio già avvenuto.

Essie Davis

La versione più recente della Kelly Gang.

Sconfinando nel thriller va citato l’ottimo The Rover, con Guy Pearce (visto di recente in The Infernal Machine), che interpreta un uomo abbrutito, un disperato pietrificato nella sua rabbia, pronto all’istante alla risposta più brutale, che in un nulla polveroso e inaridito insegue i ladri della sua macchina, l’unica cosa a ricoprire misteriosamente un valore per lui.

Il regista David Michôd (Animal Kingdom, War Machine) con la sua abituale durezza ricostruisce un mondo devastato senza possibilità di redenzione. Pearce è stato anche uno dei protagonisti del tragico The Proposition, altra storia di esemplare crudeltà, con sceneggiatura e musiche di Nick Cave.

Nell’outback si perde anche lo smemorato Jamie Dornan nella serie tv The Tourist, un thriller/noir in chiave surreale. Nero e pessimista anche Gold (2022), film con Zac Efron, che ha raccontato il sogno di un riscatto impossibile in un luogo in cui la ferocia ha dilagato e la natura può rivelarsi meno sadica dell’essere umano.

Guy Pearce

Un martirio quasi cristologico in The Proposition.

Uno degli horror urbani più angoscianti di sempre è stato Wolf Creek (film del 2005 con due sequel), dove nell’immenso nulla dell’outback nessuno sentirà urlare le vittime del mostruoso protagonista.

Il film Outback del 2019, con la coppietta di improvvidi cittadini alle prese con la natura selvaggia, si può rubricare nel genere survival movie, in cui i protagonisti sono messi a confrontarsi con difficoltà alle quali non sono preparati .

Alcuni di questi film ci vogliono dire che, senza scomodare cataclismi di vario genere, crisi energetiche, guerre globali e anarchiche società prossime venture, già in molti luoghi del pianeta si è vissuto, si vive ferinamente.

wolf creek

Negli spazi di Wolf Creek nessuno ti sentirà urlare.

E non serve uscire dalla sala o spegnere lo schermo per consolarsi, per sentirsi al sicuro. Come per History of Violence di Cronenberg, certe storie ci fanno capire come noi “civili” siamo una razza a parte, che vive in costante, ravvicinato contatto con un’altra specie animale, simile all’apparenza ma non uguale a noi. E guai a sfiorarci, se ci avventuriamo in un territorio a noi ignoto. E la Natura sarà sempre matrigna. Quindi attenzione a dove si sceglie di andare in vacanza.

Pubblicato da Giuliana Molteni

Vado al cinema dalla metà degli anni ’50 e non ho mai smesso. Poi sono arrivate le serie tv.