Il cinema ci racconta spesso le vite di personaggi famosi che abbiamo amato, lo fa sempre come avremmo voluto?
In questi ultimi mesi sono usciti nelle sale cinematografiche numerosi nuovi film biografici, che si sono occupati di personaggi molto diversi, da Berlinguer a Pharrell, passando per Pirandello, Bob Marley, Robbie Williams e Maria Callas, raccontata addirittura da Pablo Larrain, senza dimenticare le recenti serie tv su Rocco Siffredi e Gianna Nannini e su diversi sarti celeberrimi (Balenciaga, Dior, Lagerfeld).
E siamo in attesa di A Complete Unknown su Bob Dylan e Deliver Me from Nowhere su Springsteen, con due divi lanciatissimi, Thimotée Chalamet per il primo e Jeremy Allen White per il secondo. Poi arriverà un biopic sulla famosa fotografa Lee Miller, e film su Reagan, Oriana Fallaci, Aznavour, Peggy Lee e perfino la Maria Schneider dell’Ultimo tango a Parigi.
Piacciono queste narrazioni, che danno l’impressione di essere andati a curiosare nelle vite degli altri purché famosi, per avere l’illusione di esserci affacciati per un attimo all’esistenza di qualche artista o personaggio amato o comunque seguito. Ma l’argomento suscita una serie di riflessioni.
Come andrebbe realizzata la biografia di un personaggio noto e ormai defunto (a volte invece ancora in vita e pure ancora in carriera), come andrebbe raccontata la sua vita, quale dovrebbe essere il criterio con cui scegliere gli eventi da narrare e quali no, quali aspetti di personalità così ricche e complesse mettere in scena, tralasciandone altre meno importanti?
Robbie, “animale da palcoscenico”.
Parliamo naturalmente da un punto di vista cinematografico (o di serialità televisiva), perché è di questo che ci occupiamo sul nostro sito. Tutto dipende proprio da cosa si ritiene essere importante, dalla serietà dell’operazione, vogliamo fare pettegolezzo o cronaca, vogliamo indagare su personaggio e Storia e sulle tematiche delle sue opere o sui suoi rapporti sentimentali e famigliari?
Spesso ovviamente Storia, vita privata e opere sono strettamente intrecciate e nel narrare l’influenza delle une sulle altre si può eccedere in un senso o nell’altro. Come detto molte altre volte, se Leopardi fosse nato un secolo dopo e fosse stato un giovane di buona famiglia, atletico e festaiolo, avrebbe scritto l’Infinito?
Il limite di queste operazioni, anche quando condotte con serietà, è che raramente riescono a trasmettere la reale grandezza del personaggio, il collegamento fra la sua esperienza di vita e l’ispirazione che ne è scaturita. Abbiamo riflettuto sull’argomento un paio di mesi fa, dopo la visione di Eterno sognatore, l’ultimo film di Michele Placido, una lettura ingessata e poco coinvolgente della vita di Luigi Pirandello.
Taron Egerton nei panni eccentrici di Elton John.
Poco si capisce della sconvolgente novità rappresentata dalle sue opere negli anni a cavallo fra fine ‘800 e primi del ‘900. Il quadro del personaggio doveva costruirsi lungo la messa in scena di una serie di eventi, sprazzi di memoria dello scrittore mentre si sta recando in Svezia nel 1934 a ritirare il premio Nobel.
Si sottolineava la sua sventura matrimoniale (la moglie afflitta da turbe psichiche non meglio definite, ricoverata in manicomio), il rapporto tormentato con i tre figli, troppo distante dai maschi e troppo legato alla femmina, lui afflitto comunque da un’afasia sentimentale che lo frenerà anche nel suo ambiguo rapporto con la sua attrice-feticcio, Marta Abba, 30 anni meno di lui.
Per noi che scriviamo, Pirandello è stato un autore capace di influenzare profondamente la nostra personalità, il nostro approccio con il mondo, quindi questo trattamento ci ha lasciato profondamente insoddisfatti. E così abbiamo pensato a quanti scrittori, attori, poeti, cantanti, pittori, che con le loro opere ci hanno reso quello che siamo, nel corso di anni di crescita, e ai film che di loro si sono occupati, che siano state vere e proprie biografie o veloci accenni all’interno di altre narrazioni.
Il Freddy Mercury di Rami Malek.
La nostra chiacchierata riguarda un elenco strettamente personale e invitiamo chi leggesse a ripensare ai propri artisti preferiti, ai film che eventualmente avesse visto e al relativo gradimento o disapprovazione. Suddividendo a spanne, parlando di personaggi politici e pubblici, ci aveva profondamente colpito il film su Michael Collins, uno dei molti che ci hanno spiegato la guerra civile irlandese meglio di molti saggi.
Così come il tragico Hunger, film che aveva confermato il valore di Michael Fassbender con la sua sofferta interpretazione. J. F. Kennedy è stato oggetto di molti film e serie tv (The Kennedys la serie e poi il racconto di un momento storico decisivo in Thirteen Days), mentre JFK di Oliver Stone parlava della sua morte, come anche Parkland e Jackie di Larrain (che vanta anche Spencer, film su Diana d’Inghilterra). Il film Bobby riguardava Robert e gli eventi successivi alla sua morte, e quindi non si trattava di vere e proprie biografie.
Eppure in questi casi spesso è passato il senso del personaggio e del momento storico (come per i film su Martin Luther King). In Italia al film su Berlinguer La grande ambizione, con Elio Germano, abbiamo preferito ad esempio il toccante documentario sul suo funerale Arrivederci Berlinguer. Un altro personaggio caro anche alla cultura pop, Ernesto Che Guevara, è stato trattato in alcuni film, nella sua giovinezza in I diari della motocicletta e in seguito per la parte della sua vita adulta nei film Che! del 1969 e poi i due di Steven Soderbergh con Benicio Del Toro.
L’avventura della giovinezza per Che Guevara/Gael García Bernal.
Grande interpretazione di Gary Oldman, pur imprigionato dentro un incredibile trucco prostetico, in L’ora più buia, sui rovelli umani e politici di Winston Churchill, impegnato a convincere Roosevelt a entrare in guerra al suo fianco. Efficace e coinvolgente era stato Vice, la feroce narrazione della carriera di Dick Cheney, potentissimo Vice Presidente di George W. Bush, con un impeccabile Christian Bale. Non va dimenticato il documentario The Unknown Known su Donald Rumsfeld, altro “socio” di maggioranza di questo gruppetto di “amministratori” dello Stato.
Per passare a tema più nobile, ha vinto 8 Oscar nel 1983 il film Gandhi, mitico ritratto del padre della lotta non violenta, diretto da Richard Attenborough, interpretato da Ben Kingsley. E poi lo straziante The Imitation Game sullo sventurato genio Alan Turing e la sua mela morsicata, dalla quale ha tratto ispirazione per il suo logo Steve Jobs (nel film omonimo affidato a Michael Fassbender, con la regia di Danny Boyle e la sceneggiatura di Aaron Sorkin).
Freud da vecchio è stato poco incisivo nel recente film con Anthony Hopkins, meglio in A Dangerous Method dove era interpretato da Fassbender e come non ricordare il trattamento con Montgomery Clift, diretto da John Huston. J. Edgar, su Hoover, temutissimo direttore dell’FBI, e The Apprentice, sugli anni giovanili di Trump, li abbiamo trovati entrambi troppo assolutori. Grandioso l’affresco tracciato da Christopher Nolan con il suo Oppenheimer.
Ana de Armas e la sua Marilyn.
La teoria del tutto ci ha restituito un valido quadro della vita del genio Stephen Hawking, afflitto da una forma grave di SLA, con Eddie Redmayne. Coinvolgeva anche Milk con Sean Penn, sul politico e attivista gay ammazzato a San Francisco nel 1978, diretto da Gus Van Sant. The Social Network ha tracciato un ritratto interessante di Mark Zuckerberg, ben interpretato da uno scostante Jesse Eisenberg, altro film scritto da Aaron Sorkin, diretto da David Fincher.
Oliver Stone ha diretto Snowden, storia dell’informatico che lavorava per CIA e NSA, che in crisi di coscienza ha diffuso segreti che non avrebbero mai dovuto venire alla luce, interpretato da Joseph Gordon Levitt. Cambiando campo, l’universalmente noto Cassius Clay/ Muhammad Ali ha avuto un emozionante film a lui dedicato, Alì, con Will Smith a interpretarlo e a dirigere Michael Mann.
Un personaggio che regge sulle sue gracili spalle una parte immensa dell’immaginario collettivo, Marilyn Monroe, oltre a essere citata con veloci apparizioni in tanti film, è stata oggetto di biografie di cui discutere, come Blonde (dove era interpretata da Ana de Armas), Marilyn (con Michelle Williams), Norma Jean e Marilyn con Ashley Judd e Mira Sorvino. Così come l’altrettanto fragile James Dean in La storia vera (con James Franco) e Life in cui era interpretato da Dane DeHaan.
La mimesi di Bradley Cooper che si tramuta in Leonard Bernstein.
Passando ai grandi pittori, sono stati tutti diversi ma notevoli i film dedicati al grande Van Gogh: quello di Pialat del ’91, Vincent e Theo di Altman (1990), il melodrammatico Brama di vivere di Vincent Minnelli con Kirk Douglas (1956), il film del 2018 di Julian Schnabel con Willem Dafoe e il visivamente stupendo Loving Vincent. Daliland, con un istrionico Ben Kingsely, è stato più mirato alle eccentricità del personaggio che al genio dell’artista e poi Klimt e Pollock, entrambi ricchi di dettagli sulle loro vite, che però non trasmettevano la loro genialità.
Nel film dedicato al pittore Turner, con Timothy Spall, il regista Mike Leigh bene approfondiva il processo creativo e umano del personaggio. Bello il documentario su Frank Gehry diretto da Sydney Pollack. Quanto ai letterati, Il giovane favoloso diretto da Mario Martone, non ci ha ridato l’essenza di Leopardi e figurarsi il film su Dante di Pupi Avati, più impegnati tutti a ricreare un quadro scenografico accurato che la vera anima dei protagonisti. Stesso discorso per Il cattivo poeta, retorico film su D’Annunzio, grande poeta, uomo discutibile.
Non molto incisivo nemmeno A Quiet Passion, dedicato all’amata poetessa Emily Dickinson, meglio On the Road di Walter Salles su Kerouac, Shakespeare è stato citato in tanti film, il più noto è il celeberrimo (e gradevole) Shakespeare in Love, ma deliziosa era stata la serie tv Will, passata purtroppo senza successo. Giustamente malinconico Bright Star, sulla romantica (e breve) vita di John Keats con un toccante Ben Whisaw.
Corey Stoll fa Hemingway in Midnight in Paris.
Anche il mitico Oscar Wilde ha meritato narrazioni adeguate, il doloroso Il garofano verde (1960), Wilde del ’97 e The Happy Prince, diretto nel 2018 da Rupert Everett e da lui interpretato. Hemingway, scrittore per noi fondamentale, si è visto in una divertente e precisa citazione in Midnight in Paris, interpretato da Corey Stoll, mentre in Hemingway & Gellhorn era Clive Owen, ma forse il più aderente è stato George C. Scott di Isole nella corrente (trasposizione del romanzo).
Quanto alla musica, gli autori e cantanti oggetto di biopic sono stati tantissimi, dai grandi classici come Mozart di Milos Foreman al Beethoven di Gary Oldman, deleterio il ritratto di Thchaikovsky nel film dedicato alla moglie. Splendida la leggerezza di Cary Grant in Night and Day su Cole Porter, così come i rovelli di Johnny Cash in Quando l’amore brucia l’anima, indubbiamente spettacolari Rocketman su Elton John, Bohemian Rhapsody su Freddie Mercury ed Elvis di Baz Luhrmann, anche se molti hanno lamentato delle forzature.
Struggente Ennio, il film-documentario su Morricone, un elegiaco racconto della sua vita nel periodo migliore del cinema italiano, con le sue meravigliose musiche. Folgorante Maestro, di e con Bradley Cooper, dedicato alla vita esplosiva di Leonard Bernstein, musicista e direttore d’orchestra larger than life. Il film su Fabrizio De André non ha entusiasmato, meglio Control sull’infelice Ian Curtis, rispettose ma non memorabili le bio di tanti altri cantanti amati, Ray sul grande Ray Charles e Respect, sull’altrettanto mitica Aretha Franklyn.
Lo strepitoso Elvis di Austin Butler.
Dreamgirls indirettamente citava un’altra grande della musica black come Diana Ross, che aveva a sua volta interpretato Billie Holiday in Lady Sings the Blues, restituendo lo spirito del tempo, personaggio poi più accuratamente indagato nel film del 2022 Gli Stati Uniti contro Billie Holiday. Mimesi assoluta per Marion Cotillard in La vie en rose, sulla mitica Édith Piaf.
Nowhere Boy raccontava l’adolescenza di John Lennon con un ottimo Aaron Taylor-Johnson, 8 Mile ha ben reso la tormentata crescita umana e professionale di Eminem e va segnalato, per l’impegno della protagonista Renée Zellweger, anche Judy, il film su Judy Garland. Solo indignazione e fastidio per Stardust, film sugli anni giovanili di David Bowie, così irritante anche per gli eredi, che non è stato concesso l’uso di nessuna delle sue canzoni.
Diversi film e serie tv hanno ripercorso vita e azioni di Coco Chanel, il più famoso forse quello con Audrey Tautou. In tutto questo elenco, ripetiamo strettamente personale, serpeggia sempre il problema riguardo il tipo di personaggio scelto, Michelangelo o Amy Winehouse, gente morta da secoli o pochi anni, di cui sono rimaste solo tracce documentali o dei quali esistono ancora in vita famigliari e conoscenti che possono dare testimonianza diretta?
Non basta una parrucchetta per raccontare David Bowie.
Istruttivo in questo senso il confronto fra documentario e film nei casi di Amy Winehouse (Amy diretto da Asif Kapadia e Black to Black con Marisa Abela), Tina Turner (Tina e What’ s Love Got to Do con Angela Bassett) e Whitney Houston (Whitney Houston diretto da Kevin McDonald e I Wanna Dance with Somebody con Naomi Ackie). Possiamo correttamente mettere in bocca a personaggi morti di recente, il cui ricordo è ancora fresco, dialoghi sulla cui verosimiglianza nessuno può dare certezza? E figurarsi se sono ancora vivi.
Se possiamo accettare che Michelangelo dica ancora a Mosè “perché non parli”, risulta più difficile ascoltare i presunti dialoghi privati fra Elisabetta di Inghilterra e Diana con i loro famigliari, come nel film The Queen o nella serie tv The Crown, streaming di planetario successo su Netflix. Vogliamo quindi solo dei documentari, sperando che il materiale sia stato raccolto con attenzione e messo in fila in modo obiettivo?
Senza andare a toccare il tema degli attori scelti per interpretare questi personaggi, come già dicevamo nel nostro articolo di qualche mese fa, il cui aspetto spesso sfalsa la percezione del personaggio.
In ogni modo sono lontani i tempi di Lawrence d’Arabia, film che aveva saputo raccontare con tale potenza un personaggio fino allora sconosciuto ai più, con informazioni politiche che valgono ancora oggi, mentre si sente parlare della crisi in Medio Oriente, conferendogli però un’aura di umana fragilità che lo ha reso indimenticabile, oltre ad aver fatto schizzare le vendite del suo libro I sette pilastri della saggezza, fino a quel momento letti da ben pochi.
Ma raramente il trattamento di una figura che in qualche modo è riuscita ad avvicinarsi al nostro cuore, entrando a far parte della nostra vita, ci soddisferà, si sa che lo zoccolo duro dei veri fan è sempre il più difficile da accontentare e la “verità” sta solo nel nostro cuore.