Il cinema si è occupato del rapporto fra uomo e natura anche raccontando storie di agricoltori e multinazionali, rapporto fra forze sempre dispari.
Qualche giorno fa ci è capitato sott’occhio per l’ennesima volta uno dei tanti video proposti dai vari social, che mostrava come anche da un semino scartato con fastidio da una spremuta di limone, possa nascere un alberello, seguendo poche semplice regolette.
Perché di seme in seme la vita si è propagata così, finché a qualcuno non è venuto in mente di modificare i semi e renderli atti a “figliare” una sola volta, per costringere gli agricoltori a ricomprare ogni anno a caro prezzo i loro prodotti.
Abbiamo così fatto una riflessione su questa categoria di imprenditori/lavoratori (parliamo di quelli onesti naturalmente), che sembrano sempre l’anello dimenticato della catena alimentare, quando invece sono i primi perché con la loro attività forniscono il cibo al resto dell’umanità, che lo consuma ma non lo produce.
Senza risalire ai servi della gleba, ai soprusi e ai taglieggiamenti da parte dei proprietari terrieri o delle autorità locali (sempre schierate a fianco del potere) avvenuti nel corso dei secoli, sono stati visti di malocchio anche dai proprietari terrieri, perché sottraevano pascolo al bestiame, totem assoluto per la sviluppo della cosiddetta civiltà americana, come tanti film western ci hanno mostrato.
Un eccelso Christopher Walken in Il processo Percy, storia vera.
Vere e proprie stragi avvengono regolarmente da parte dei latifondisti in Sud America (una per tutte, la strage di Eldorado do Carajás in Brasile nel 1996). Ma anche in paesi “civili”, la categoria resta vittima di diverse entità, di chi compra i loro prodotti e impone il suo prezzo, degli eventuali proprietari dei loro terreni che impongono affitti altissimi, e delle multinazionali che forniscono sementi e pesticidi.
Un nome tristemente noto per tutte, Monsanto, azienda nata nel lontano 1901 come industria chimica, che era passata a occuparsi di biotecnologie agrarie, divenuta il principale produttore mondiale di Organismi Geneticamente Modificati (OGM), una delle corporation più tristemente note della recente storia industriale.
Acquistata da Bayer nel 2018 che ne ha abolito il troppo discusso nome, era stata anche produttrice di uno dei componenti del letale Agente Orange, defoliante tossico usato durante la Guerra del Vietnam, colpevole di modificazioni e malformazioni del corpo umano.
Dennis Quaid nel film A qualsiasi prezzo.
Negli anni è stata accusata di negligenza, frode, attentato a persone e cose, disastro ecologico e sanitario, utilizzo di prove false. Grazie a un’attività di “lobbing” massiccia e spregiudicata, grazie a corruzione, comunicazioni ingannevoli e collusioni politiche ad altissimo livello, ha continuato impunemente a esportare il nefasto modello di agricoltura transgenica.
La multinazionale è stata anche condannata per “ecocidio” da un ”tribunale d’opinione” dell’Aja, per aver violato il diritto a vivere in un ambiente sano, al cibo e a uno standard di salute adeguato, con le testimonianze su numerose violazioni dei diritti umani e ambientali, dall’Argentina al Burkina Faso, all’India e agli Stati Uniti.
La Monsanto ha trovato modo di lucrare sulle sementi geneticamente alterate, spingendo i contadini di intere nazioni a usarle per migliorare la produttività. Veniva scritto (molto in piccolo) che le sementi (tracciabili perché contenevano un gene modificato) andavano usate una sola volta e poi avrebbero dovuto essere ricomperate a caro prezzo, pena l’accusa di averle usate senza licenza (negli USA il 93% dei semi di soia e l’86% di quelli di mais è OGM).
Ci ridurremo come Matt Damon in The Martian?
Contravvenendo al detto “piedi grossi cervello fino”, tanti si sono in buona fede esposti a cause legali per violazione di brevetto, devastanti vista la potenza dell’avversario, finite quasi sempre malissimo per i poveretti, schiacciati dalla potenza legale delle multinazionali, con banche in attesa come avvoltoi, pronte al sequestro dell’intera proprietà.
Motivo per cui a livello mondiale, sono drammaticamente aumentati i sucidi fra gli agricoltori. Su un argomento che sembrerebbe di nicchia, il cinema ci ha dato diversi istruttivi film, primo su tutti il docu Il mondo secondo Monsanto del 2008 diretto da Mari-Monique Robin, frutto di tre anni di ricerche in varie nazioni.
Ma anche scartando film più politici sugli agricoltori come Furore (1940) o In Dubious Battle (2016), entrambi tratti da opere di John Steinbeck, pensiamo a denunce più dirette, come l’ottimo Il processo Percy con Christopher Walken (visibile su Prime), che racconta della causa legale contro Monsanto intentata nel 1998 da un anziano agricoltore specializzato in colza, che è riuscito ad arrivare fino alla Corte Suprema canadese.
Un fotogramma del documentario del 2008 diretto da Mari-Monique Robin.
Oppure Into the Weeds con Dewayne “Lee” Johnson, la lotta di un uomo solo contro l’abuso del glifosfato (sempre Monsanto/Bayer), componente del nefasto diserbante RoundUp che viene fornito insieme ai semi ibridi che lo tollerano (perché forniti del gene che dicevamo), mentre tutte le altre erbe vengono uccise.
Il glifosfato è la probabile causa di linfomi, tumori e malattie croniche nella comunità che lo usano, e contamina terreno, acque e aria, mentre si rimpallano le responsabilità le varie Agenzie che dovrebbero tutelare la salute collettiva e invece non riescono a pronunciarsi in maniera univoca su un argomento così delicato e vitale.
Molto istruttivo anche il più commerciale A qualsiasi prezzo in cui Dennis Quaid è un agricoltore che tratta semi modificati nella sua azienda agricola, sotto la pressione di una concorrenza spietata (anche questo su Prime ma solo doppiato).
E ci sentiamo di citare anche i documentari Cowspiracy (2014), Kiss the Ground (su Netflix), La terra madre di Ermanno Olmi e La quinta stagione, terzo film della trilogia dei registi Peter Brosens e Jessica Woodworth, dedicata al conflitto fra uomo e natura. Gli altri due sono Khadak e Altiplano.
Ma numerosi sono i film in cui si è discusso di sostenibilità, contro l’eccessivo sfruttamento del suolo, l’abuso di pesticidi, di OGM e di ormoni della crescita sintetici, e la devastate urbanizzazione, tutti fattori che ci hanno spinto (almeno al cinema ma grazie anche a qualche miliardario megalomane) a cercare nello spazio risorse che qui si stanno esaurendo (anche qui passiamo da 2002 la seconda Odissea al più recente The Martian).
Monsanto è proprio il titolo del nuovo, atteso film del divo emergente Glen Powell.
Bisogna pensare che il cibo deve essere prodotto per essere mangiato, non solo venduto per arricchimento. Come dice Vandana Shiva, l’ambientalista indiana, “il cibo è un’arma, quando si controllano i semi, si controlla la vita sulla terra”. Vista la mai scaduta attualità del discorso, è in arrivo il film Monsanto, legal drama che si annuncia interessante per l’argomento e per la presenza di due divi come il novello Glen Powell (Twisters, Hit Man), la veterana Laura Dern e Anthony “Falcon” Mackie, prodotto da Netflix.