Hopper. Una storia d’amore americana è un interessante documentario sulle origini e la vita del celeberrimo pittore.
Il documentario dedicato al grande pittore Edward Hopper, ha come sottotitolo “ Una grande storia d’amore americana”.
Perché Hopper con i suoi quadri ha dipinto un paese e i suoi abitanti in modo unico, capace come pochi di trasmettere bellezza e malinconia, congelandoli all’interno di una cornice naturale che sembra non finire nei bordi del quadro.
E lascia intendere che forse quell’attimo di solitaria stasi, di incomunicabilità, potrà finire nell’attimo successivo, quando tutti si leveranno e andranno, per il Grande Paese, per il vasto mondo.
Un mondo che Hopper, erede di facoltosa famiglia, aveva esplorato, quando nei primi del ‘900 aveva soggiornato per alcuni anni a Parigi, senza però prendere parte alla pittoresca boheme degli artisti, senza entrare nei giri dei pittori allora più noti (Picasso, Mondrian, Braque, Modigliani, Magritte, Chagall).
“Sera a Cape Cod” un famoso quadro di Hopper del 1939.
Come diceva Hemingway di quegli anni, nel suo libro Festa mobile, “se hai avuto la fortuna di vivere a Parigi da giovane, ovunque tu passi il resto della vita essa ti accompagna perché Parigi è una festa mobile”. Ma a questa festa Hopper non ha mia voluto prendere parte.
In Europa, che aveva parzialmente visitato, aveva incontrato una donna di cui era rimasto innamorato per anni, mai ricambiato però. Avrebbe trovato a New York la donna che sarebbe diventata la sua compagna per la vita, Josephine Verstille Nivison.
Dopo un periodo noto in cui si era prestato come illustratore, per pura necessità finanziaria, sono arrivati gli anni del successo e della fama, che lo ha seguito per tutta la sua lunga vita. Quanto felice, non è dato sapere.
Alla ricerca delle “inquadrature” originali di Hopper.
Molto sfruttato dalla cultura pop, con poster e oggettistica, citato in film e fumetti, ha influenzato con la sua estetica e con il suo messaggio tanti altri pittori e molti fotografi e registi e ha indotto frotte di turisti a visitare le coste del New England, oggetto di tanti suoi quadri memorabili, raggelati dall’abbagliante luminosità di quella fredda luce dell’Est.
Il documentario percorre le tappe principali della sua esistenza e illustra con qualche aneddoto godibile le sue opere principali, la cui bellezza costituisce il punto di forza della narrazione.
Quadri che sono film di un solo fotogramma e lasciano all’osservatore la possibilità di scatenare l’immaginazione, di fare illazioni, supposizioni, capaci di costruire in uno sguardo quella connessione emotiva fra artista e pubblico che tanti invano hanno ricercato.
La luminosità delle coste del New England, oggi come allora.
Come usa oggi, apprendiamo che, se dietro ogni grande uomo si cela una grande donna, anche la moglie di Hopper è stata fondamentale nella sua vita, pittrice anche lei e anche dotata, gli ha insegnato l’uso degli acquerelli, gli teneva i contatti sociali con clienti e musei, lo consigliava sulla scelta dei soggetti e lo stimolava a viaggiare in lungo e in largo per gli States.
E’ stato un matrimonio senza figli, lungo più di quarant’anni e non molto felice, visto il carattere di Hopper (sono stati ritrovati una sessantina di diari scritti da lei che hanno consentito di approfondire la loro relazione). Il pittore però a tutte le donne dei suoi dipinti ha dato i lineamenti di lei.
Tutte le donne di coppie mute e distanti, tutte le donne solitarie sono state lei, Jo. Forse anche dal suo isolamento Hopper aveva capito quale vita aveva imposto a lei. Come tanti mariti del resto, almeno lui nel frattempo ci ha dato opere d’arte immortali.
“I nottambuli” (Nighthawks), 1942, forse l’opera di Hopper più amata dalla cultura pop.
Nel documentario ci sono le solite chiacchierate con direttori di musei prestigiosi, curatori di mostre, studiosi d’arte, e quelle sono sempre il punto dolente di questi prodotti, perché spesso i personaggi in questione compiono voli pindarici raramente condivisibili, avanzano ipotesi improbabili e supposizioni stiracchiate.
Ma a contare sono le opere e a ciascuno, specie se profano, le opere di Hopper sono riuscite a dire qualcosa di diverso, di personale. Perché quei palazzi, quelle case vuote, morte, in attesa di qualcuno che le viva?
Chi aspettano, cosa ricordano, a chi pensano, dove vorrebbero andare tutte le figure solitarie dei suoi quadri fascinosi? Emanano tristezza, solitudine, curiosità, sono bloccate o stanno per muoversi?
In uno sguardo fuori campo, in un’inclinazione del volto, nella posizione delle spalle c’è tutto quel voler essere altrove, quell’isolarsi in mezzo agli altri, quel bisogno di fuga verso qualcosa (qualcuno) che non si sa come, dove sia, ma esiste e bisognerebbe alzarsi, uscire e raggiungerlo.
Eppure le sue atmosfere possono suggerire anche l’attesa di qualcosa (qualcuno) che dall’esterno arrivi, a cambiare, a riscaldare, a rapire. Come sempre, come per il peccato, tutto sta nell’occhio dello spettatore e nella sua sensibilità, nel suo vissuto.
Hopper. Una storia d’amore americana sarà nelle sale il 9 e 10 aprile, distribuito da Nexo Digital, che di recente ha distribuito un altro documentario su un celeberrimo artista, Il bacio di Klimt.
Scheda tecnica:
Regia: Phil Grabsky
Distribuzione: Nexo Digital
Genere: documentario