Holy Shoes è il primo film da regista di Luigi Di Capua, uno dei membri del gruppo The Pills, e sorprende positivamente.
Nudi siamo tutti uguali (anche i Re lo sanno benissimo), pezzi di carne coperti di pelle e peli. Quindi per distinguerci non resta che ricorrere a ciò che ci copre, come le Grandi Firme, come l’industria hanno ben compreso da tempo.
Sotto il vestito sempre niente, ma che importa, se il vestito è firmato. Così per un abito o un accessorio di marca si può rubare, si può ammazzare. Perfino la corruzione politica viaggia a colpi di Vuitton.
Quindi nessuno stupore per il piccolo apologo morale che con Holy Shoes ci racconta Luigi Di Capua, al suo primo film come regista, dopo aver scritto la sceneggiatura di alcune commedie fra cui Sono solo fantasmi e Il più bel secolo della mia vita e due Smetto quando voglio (insieme a Sydney Sibilia, di cui ricordiamo il recente Mixed by Erry, altra storia dai risvolti morali).
Di Capua ha iniziato la sua carriera nel 2011, con il gruppo The Pills, insieme a Luca Vecchi e Matteo Corradini. Attivi sul web e in tv, nel 2016 hanno realizzato il film Sempre meglio che lavorare.

Il “bel mondo” dove l’immagine è tutto.
Quattro storie si intrecciano intorno al possesso di un paio di ambitissime scarpe, delle sneakers della marca inventata Typo 3, candide sculture di schiuma elastica il cui possesso garantisce ammirazione, successo, venerazione, felicità (la “sicurezza degli oggetti”).
A questi manufatti incolpevoli affidano il proprio destino alcuni personaggi molto lontani fra loro, ma accomunati dal desiderio di essere qualcosa di diverso da quanto sono e cambiare così il proprio destino. Tutto solo grazie a un oggetto “magico”, per conseguire il quale tutto è lecito, come in un tragico videogame.
Siamo a Roma, ripresa in parti periferiche, anonime, prive di glamour. Filippetto è un adolescente, protetto e amato da una madre single che campa con sofferenza. Lui vorrebbe fare colpo sulla ragazzina ricca di cui si è innamorato e le vorrebbe regalare le costose scarpe, senza però avere i soldi per un tale regalo.

Basteranno delle scarpe di lusso per conquistare la principessa del cuore?
Bibbolino è un trentenne che è rimasto un bamboccio, in fuga da una figura paterna repressiva, in cerca di consenso e approvazione. Che si illude di conquistare come rivenditore di scarpe rare e costose nel dorato ambiente di VIP e influencer.
Mei è una ragazza cinese, una vita a faticare nel ristorante del padre, mentre cerca di ottenere risultati scolastici che le permettano di conquistare una borsa di studio. Con i soldi di un traffico di scarpe Typo false potrebbe mettere insieme i soldi che le servono per andarsene a Boston. Ma che fare dell’amato fratello con Asperger?
L’ultima storia sembra legare meno con le precedenti, ma ruota anch’essa intorno alle scarpe: Luciana è una matura signora, delusa della vita, avvilita da un matrimonio che si è spento, che solo indossando fortunosamente un paio di Louboutin riscopre la propria femminilità, avvilita nelle informi sneakers che ormai si era rassegnata a portare.

Per delle scarpe di moda tutto è lecito.
Nell’amaro finale il personaggio che subirà l’evoluzione più netta sarà quello meno prevedibile, mentre gli altri avranno destini diversi e non è detto che trarranno insegnamento da quanto successo loro.
Holy Shoes ha una struttura che è debitrice a molti film più blasonati (non sembri blasfemo citare Crash o i film di Iñárritu), in cui alcuni personaggi apparentemente estranei ruotano intorno a una serie di eventi staccati, per scoprire che in qualche modo sono tutti collegati.
Di Capua fa crescere bene la sua storia, in un intreccio che porta al finale pessimista e moralista, nel senso più nobile del termine. Potremo mai svegliarci dal sonno dell’inganno, capire che ciò che siamo non è ciò che indossiamo, possediamo, che non è per quello che dobbiamo essere amati o attraverso cui farci amare?

Nel crescendo di tragiche coincidenze nessuno avrà la forza di arrestarsi, travolto dall’illusione di essere finalmente padrone del proprio destino, grazie ai simboli di una felicità esibita ma ingannevole. Accettarlo vorrà dire avere capito, essere finalmente in grado di crescere.
Forse è vero che finché non si pagano le conseguenze dei propri errori si continua a ripeterli. Nel panorama poco entusiasmante del nostro cinema, inflazionato da commedie prive di spunti interessanti, Holy Shoes, distribuito da Academy Two, riesce a sorprendere e a ritagliarsi un suo degno spazio, grazie a una storia ben congegnata e ben diretta, che riesce nel difficile compito di suscitare qualche mai superflua riflessione.
Scheda tecnica:
Regia: Luigi Di Capua
Cast: Raffaele Argesanu, Simone Liberati, Tiffany Zhou, Carla Signoris
Distribuzione: Academy Two, Denise Capezza, Roberto De Francesco
Genere: commedia, drammatico