Gli indesiderabili – Recensione

Con Gli indesiderabili, il regista Ladj Ly ci riporta nelle banlieues per un altro ansiogeno capitolo di impossibile integrazione.

Siamo nel sobborgo di Montvilliers, le autorità sono radunate su un palco a celebrare l’abbattimento di un “ecomostro” stile Vele di Scampia.

Ma altri palazzoni restano, terra franca dove vive gente onesta, immigrati di varia provenienza, anche da diversi decenni, gente che si arrangia da sempre come può, resistendo, senza militare fra i delinquenti veri, ma arrabattandosi in vari modi, che possono sfiorare quella legalità ciecamente imposta dall’amministrazione locale.

Che è di bianchi, tranne un vice Sindaco nero, messo lì solo per fare lo Zio Tom. Gli indesiderabili è il secondo film diretto da Ladj Ly, originario del Mali dopo l’ottimo Les Miserables del 2020, che si poteva leggere come L’odio del Nuovo Millennio, in cui a fronteggiarsi erano poliziotti e “fuorilegge” di vario grado.

Qui siamo fra società civile e quella percepita come “incivile”, borghesi contro proletari, benestanti contro poveri. Una giovane donna, Haby, una francese di colore, lavora nell’archivio del Comune e nel tempo libero si occupa di risolvere problemi burocratici per le infinite etnie dei vari immigrati.

Gli indesiderabili

Un abbattimento organizzato male.

Haby, dopo un incidente che obbliga l’Amministrazione a una nuova elezione del Sindaco, decide di candidarsi, al posto dell’inetto pediatra messo provvisoriamente a ricoprire la carica.

Ma l’uomo si è montato la testa e invece che gestire pacificamente un ruolo per cui non è preparato, fomentato dal suo partito, decide di lasciare il segno, come fautore del vecchio motto “legge e ordine”.

Gli indesiderabili, distribuito da Lucky Red, si potrebbe giudicare un film a tesi e gli si perdona qualche eccesso di parte, qualche forzatura (specie negli eventi conclusivi) che però sono compensati da altri ottimi, ansiogeni momenti di cinema quasi verità.

Anta Diaw

Haby, giovane, nera, francese. E basta.

Si può accusare Ly di essere manicheo, di voler tirare l’acqua ad un solo mulino. Ma non sarebbe vero, perché ormai (e sottolineiamo ormai, perché la situazione si trascina da così tanti anni che risalire alle colpe originarie è arduo) le responsabilità si possono dividere fra entrambe le parti, perché pochissimi fra i due “contendenti” sono disposti a un gesto non si dice pacifico, ma almeno ragionevole.

E tutti proseguono su due binari paralleli che mai si incontreranno. Gli extracomunitari ostili, abituati ad arrangiarsi all’interno di un gruppo chiuso, schivando le maglie di una burocrazia sorda a ogni sfumatura, a ogni diversa esigenza (e qui si fa la grazia di non mettere in scena i soliti malavitosi/spacciatori, qui c’è gente che si arrangia solo con piccoli illeciti burocratici, quasi inevitabili).

Anche il rifiuto degli anziani di imparare il francese, che invece figli e nipoti parlano come prima lingua è significativo. Intanto le autorità lasciano degenerare la situazione, intervengono solo per reprimere anche quando non è indispensabile, mentre ammassano etnie diverse ma ugualmente bisognose senza la minima attenzione alle differenze culturali, con una voluta ignoranza che sa di provocazione (ricordiamo il bellissimo The Old Oak di Ken Loach).

Pierre Forges,

I sogni di gloria di un uomo mediocre.

Anzi privilegiando i migranti da guerre rispetto a quelli economici, e pure preferendo quelli dalla pelle più chiara, compiono un atto sfacciatamente discriminatorio. Se su un equilibrio fortunosamente tenuto in piedi arriva con durezza una figura autoritaria, che emana decreti repressivi paradossali, il tracollo sarà inevitabile.

E si brucerà così l’unica figura che poteva fare da ponte fra due mondi, fra diverse esigenze, quella Haby che rifiuta ogni genere di discriminazione perché semplicemente “cittadina francese”. Quel ponte il Sistema non lo vuole, preferisce mantenere questo stato di tensione, per giocarselo nei momenti di necessità.

La pace sociale non interessa, è più politicamente redditizia la guerra, anche in casa. Ad un certo punto qualcosa è andato storto, una serie di errori si sono sovrapposti determinando la situazione senza ritorno di oggi. Perché né destre né sinistre potranno mai rimediare, solo contenere i danni, sperando che questi fiumi di “diversi” non si incrocino mai.

Anta Diaw Aristote Luyindula

Le nuove generazioni, che andrebbero incoraggiate e non respinte.

Siamo tribù divise in altre tribù, frammentati nell’odio reciproco, nella diffidenza, nell’alienità. E vani sembrano essere anche i tentativi dei pochi civili che ancora ci provano. Il Bâtiment 5 del titolo originale (Edificio 5) è un condominio che è metafora dell’intero paese, fatiscente, affollato da troppo gente e troppo diversa, che può sopravvivere solo grazie a delicati equilibri.

Farlo incendiare, esplodere, sperare di risolvere evacuando tutti verso chissà dove, è assurdo, è impraticabile. Il film è percorso da una costante, estenuante tensione che pochi thriller potrebbero vantare, e riesce nel non essere né buonista di sinistra né forcaiolo di destra.

Ladj Ly mette in scena, fotografa spassionatamente una situazione sociale 30 anni dopo i nipotini dell’Odio di Kassowitz. Niente è cambiato in meglio, anzi solo in peggio. Senza speranza. Lapidarie le parole di Victor Hugo che campeggiavano in testa a Les Miserables, il precedente film di Ly: “Non ci sono piante buone o cattive, ci sono solo cattivi coltivatori”.

Scheda tecnica:

Regia: Ladj Ly

Cast: Anta Diaw, Pierre Forges, Aristote Luyindula, Steve Tientcheu, Jeanne Balibar

Distribuzione: Lucky Red

Genere: drammatico

Pubblicato da Giuliana Molteni

Vado al cinema dalla metà degli anni ’50 e non ho mai smesso. Poi sono arrivate le serie tv.