Con Era mio figlio, torna Richard Gere, con tutto il suo carisma, a raccontare la storia di un’insolita elaborazione del lutto.
Piace come Richard Gere, divo assoluto per alcuni decenni, personaggio pubblico impegnato nel dare di sé la giusta immagine, ha saputo affrontare il momento in cui la sua carriera si stava appannando e soprattutto come ha affrontato la vecchiaia.
Senza ritocchi estetici, senza tinte, ha iniziato a scegliere i suoi film con attenzione, legato alla sua immagine di uomo di classe e di successo, riuscendo però credibile anche nel film Gli invisibili, in cui era un mite homeless schiacciato dalla vita.
Negli ultimi vent’anni ha interpretato una quindicina di film, spaziando fra vari generi (alcuni rimasi inediti perché giudicati indegni di una distribuzione nei cinema italiani) e perfino una serie tv, MotherFatherSon, suo primo e unico esperimento, in cui era un miliardario disinteressato alla vera anima del proprio figlio, impegnato a plasmarlo solo per poterlo usare.
Era mio figlio, uscita estiva priva di supporto pubblicitario distribuita da Lucky Red, è un film dell’israeliano Savi Gabizon, che scrive e dirige il remake di una sua opera del 2017, Longing, che con un cast internazionale dovrebbe avere più visibilità (da non confondere con il film omonimo del 2020 con Sebastian Stan e Samuel L. Jackson, storia di guerra).
Richard Gere, un attore che ha saputo invecchiare bene dentro e fuori dallo schermo.
Daniel (Gere) è un ricco uomo d’affari newyorkese, ancora figlio di un padre vecchio, malandato e assente, con una bella famiglia unita, piena di parenti, ma nessuno davvero al suo fianco.
Solitario da anni, mai padre nel timore di ripetere uno schema famigliare da lui subito fino all’adolescenza, viene cercato dalla sua ultima compagna, con la quale aveva interrotto i rapporti vent’anni fa.
La donna, che si era trasferita in Canada, nell’Ontario, gli rivela di avere avuto un figlio da lui, a quel tempo, che però è morto da poco in un incidente (un tema interessante sarebbe stato anche interrogarsi sul movente di una così crudele rivelazione a tempo ormai scaduto, ma non è il punto del film).
Richard Gere e Diane Kruger, due attori di richiamo e di sostanza.
Daniel subisce un colpo che lo rimette in movimento, abbandona gli affari, si reca nella cittadina canadese dove la famiglia ha vissuto e inizia a fare ricerche sul figlio mai avuto, scoprendone virtù e difetti, luci e ombre.
Mentre va alla ricerca del tempo “terminato” del figlio, mettendo insieme tanti frammenti dalle persone che lo avevano conosciuto, scopre che era un pianista e potenzialmente anche uno scrittore, ma anche che aveva lati oscuri, come un rapporto con una giovanissima ragazza e quello più inquietante ai limiti dello stalking, con la sua insegnante di lettere.
Nella sua foga paterna però il padre vede il figlio sotto una luce angelicata, anche quando quelle che sembravano poetiche fissazioni si rivelano ben più morbose ossessioni o poco etici comportamenti. Daniel scopre una persona sconosciuta, con comportamenti non sempre limpidi. Ma era suo figlio.
Due padri, ciascuno con il proprio lutto.
Dall’elaborazione di un lutto particolare, nei confronti in fondo di uno sconosciuto, la storia vira in altre direzioni, surreali anche, perché alla fine sono i sopravvissuti che si impossessano dei defunti e li maneggiano in modo da rendere la loro assenza più tollerabile.
Era mio figlio è un film sugli orizzonti perduti che non ritornano mai, dove tutto sembra scritto eppure può essere in parte modificato, con la giusta spinta. Non bisognerebbe mai arrendersi, mai rinunciare, che ne sappiamo dei piani del Destino?
Come il film Estranei, meno straziante, eppure toccante nella sua delicatezza, Era mio figlio è debitore nei confronti dell’interpretazione di Richard Gere, che è quello che deve essere, elegante, compassato, sicuro di sé eppure fragile, educato e civile, un uomo rimasto seduto su una panchina a guardare le ombre dietro le tende delle vite degli altri.
Diane Kruger, vista di recente nel film Joika, è la contraddittoria insegnante, mentre Suzanne Clément è l’ex compagna che porta a Daniel il dono avvelenato della tardiva rivelazione. Che sembrerebbe inutile e sadica, ma che sulla lunga distanza servirà a Daniel più di quanto fosse lecito aspettarsi.
Quando moriamo, conta ciò che siamo stati davvero o il modo in cui saremo ricordati e ciascuno si costruirà un suo santino da stringere al cuore per andare avanti? Chi muore giace nella calma del nulla (o del Paradiso per chi ci crede), è a chi resta che spetta fare i conti con quanto gli rimane del giorno.
Scheda tecnica:
Regia: Savi Gabizon
Cast: Richard Gere, Diane Kruger, Suzanne Clément, Shauna Macdonald
Distribuzione: Lucky Red
Genere: drammatico, commedia