Con El Conde, Pablo Larrain ci offre un ritratto inedito del crudele e corrotto dittatore del Cile, Augusto Pinochet.
Chi è il conte più noto nel nostro immaginario? Il Conte di Montecristo? Il Conte di Cavour? O forse Cagliostro o il simpatico Athos, Conte de la Fère? Diremmo piuttosto il Conte Dracula, origine di tutti i vampiri che hanno affollato il nostro immaginario degli ultimi decenni.
E questo personaggio di fantasia cosa può avere a che fare con un regista come il cileno Pablo Larrain, che in passato ha scavato nelle mostruosità compiute e provocate dalla dittatura del Generale Pinochet durante il suo regime, dal 1973 al 1990, attraverso film drammatici come Tony Manero, Post Mortem, No?
Qui, insieme a Guillermo Calderón, scrive e dirige una storia surreale e grottesca, incentrata sulla figura criminale del feroce dittatore. Immagina che Pinoche (nome originario dell’odioso personaggio) sia stato un povero orfanello di genitori ignoti cresciuto nella Francia della Rivoluzione francese, dove gli si palesa la sua vera natura quando scopre la sua passione per il sangue.
Fedele però per sempre a quel potere forte che aveva visto cadere sotto la lama delle ghigliottine, Claude Pinoche fugge e fa perdere le sue tracce nel corso dei secoli, ricomparendo però ciclicamente per lottare contro le rivoluzioni di Haiti, Russia, Algeria.
Il “vecchio leone”.
Arriva in Cile nel 1935, sposa la sua Lady Macbeth, Lucia Hiriat, nel 1973 e organizza il colpo di stato contro quella che per lui è l’infestazione bolscevica del governo Allende. Anni dopo, ormai caduto in disgrazia a livello internazionale, finge la propria morte, per poter tornare poi a infestare liberamente il suo paese, protetto dalle tenebre amiche.
Nelle notti infatti svolazza in divisa da parata e fa stragi di cuori, nel senso che li estirpa dai petti dei poveri cileni, se li frulla e se li beve, per restare per sempre gagliardo, anche sessualmente. È costretto però a vivere in una desolata fattoria all’interno di un vecchio campo militare dismesso, in una desolata landa della Patagonia.
Là gloria e decadenza sono rappresentati da mille cimeli del suo “onorevole” passato (solo la collezione dei suoi dvd vale un fermo immagine) ma anche da alcuni “pappagalli”, intesi non come uccelli bensì come attrezzi ospedalieri.
Alfredo Castro, il degno maggiordomo del vampiro.
Ad accudirlo, novello Renfield (ben diverso dal film omonimo con Nicolas Cage), c’è il maggiordomo (affidato ad Alfredo Castro, attore-feticcio di Larrain), assassino spietato durante il regime, elevato al rango di vampiro servo, e la moglie che vorrebbe essere anche lei “vampirizzata” per vivere vita eterna e spendere tutti i soldi accumulati disonestamente.
Perché Pinochet è feroce assassino quanto miserabile ladro e imbroglione. Ma a disturbarlo arrivano i suoi cinque figli “normali”, tre femmine e due maschi, inetti parassiti sanguinari, a loro volta veri succhiasangue del padre, a raffigurare la vera banalità del Male.
Una di loro, stufa di aspettare l’eredità, ha ingaggiato una suorina-esorcista, per accelerare la dipartita del mostruoso genitore. Come andranno le cose, come si evolveranno i rapporti di una simile banda di delinquenti?
La banalità del Bene.
Spesso, anche nella vulgata popolare, si è detto che i politici succhiano il sangue dei loro sudditi e questo è ancora più vero quando al potere c’è un’unica figura dittatoriale.
Facile quindi passare dalla metafora alla pratica e Larrain lo fa con uno humor nero indiscutibile, soprattutto nel ritratto dei famigliari del Conte, il cui cinismo da borghesucci arricchiti rifulge durante le esilaranti interviste cui li sottopone la giovane suora, che è entrata nella famiglia con l’incarico di portare ordine nei conti dell’ormai smemorato vegliardo.
In El Conde ci sono molti sviluppi descritti con ironia e sarcasmo, dei quali non possiamo dire per non fare spoiler e la svolta più spassosa riguarda la proprietaria della voice over che accompagna la narrazione. Ciò nonostante sembra chiaro che ben altro spessore avevano le denunce dei suoi primi film e questa volta si sia voluto tenere un tono più leggero, di derisione e sberleffo, pur nella dichiarata mostruosità della situazione.
Forse con la frequentazione di un cinema più mainstream con film come Jackie o Spencer, Larrain si è un poco ammorbidito. Anche se una risata alla fine non ha sepolto nessuno dei feroci satrapi che hanno devastato l’umanità dall’inizio dei tempi, ieri come oggi, con El Conde almeno un sorriso amaro ce lo possiamo però concedere.
Il film è disponibile dal 15 settembre su Netflix, dopo essere transitato al Festival di Venezia.
Scheda tecnica:
Regia: Pablo Larrain
Cast: Jaime Vadell, Gloria Münchmeyer, Alfredo Castro, Paula Luchsinger
Distribuzione: Netflix
Genere: drammatico, commedia