Torna Adonis Creed, “erede” di Rocky Balboa, con Creed III, un terzo capitolo di grandi mazzate e sentimenti che non lasciano il segno.
Cosa è necessario per diventare un grande campione di boxe? Sacrificio, fatica, duro lavoro. E volontà, tanta. Tutte doti che abbiamo imparato a conoscere in decenni di film su questo sport violentissimo.
E cosa ci vuole per realizzare un film di successo su questo argomento? Ci vuole un personaggio da amare, per cui parteggiare, messo a lottare per il proprio riscatto, per la famiglia, per tutti gli umiliati del mondo. Rocky Balboa, ovviamente.
Personaggio che il suo creatore Sylvester Stallone non aveva abbandonato nemmeno in età avanzata, portandolo nei primi due film della serie Creed (il primo nel 2015), dedicati a un suo ideale erede, Adonis, figlio del mitico Apollo, morto senza averlo conosciuto, ammazzato durante un incontro da Ivan Drago.
Dopo un secondo film nel 2018, arriva adesso sui grandi schermi Creed III, dove troviamo Adonis, 35enne realizzato, due volte campione del mondo dei pesi massimi, ormai ritirato a vita privata, villa da togliere il fiato sulle colline di Hollywood, moglie divenuta produttrice musicale da Grammy, figlioletta adorabile, palestra per restare nel giro, allevare nuovi talenti e organizzare lucrosi incontri ad alto livello.

Ma dal suo passato di ragazzo abusato dal sistema, emerge un vecchio compagno di sventure, finito in galera per ben 18 anni, nei confronti del quale Adonis nutre sentimenti confusi perché appartenenti a tempi ormai rimossi. Damian (Jonathan Majors) sembra amichevole, nasconde invece una sete di rivalsa che lo porterà a scontrarsi con il vecchio amico, che sarà costretto a rimettersi in forma e tornare a combattere, per il proprio riscatto, per la famiglia, per il ragazzino umiliato che era stato.
La sceneggiatura di film come questi (qui la storia è scritta dal regista del primo film, Ryan Coogler, sceneggiata dal fratello Keenan e da Zach Baylin) si adegua a regole consolidate, segue ritmi precisi come un teorema matematico, con una scansione degli eventi da manuale.
Quindi anche questa volta la narrazione segue il decorso classico, entrata in scena dei vari personaggi, allenamenti, un primo incontro di boxe, altri allenamenti più duri, incidenti di percorso sentimentali di vario genere, scontro finale. Vittorie si alternano a sconfitte, dagli altari si precipita nella polvere. Ma solo chi cade si può rialzare, a prezzo di grandi sofferenze però e durissime prove.

Cosa può allora salvare un film in cui, tanto per non cambiare, si parla di due pugili, un tempo amici, ora avversari sul ring, definito “il posto più solitario del mondo”, dal quale solo uno scenderà vincitore dopo un adeguato numero di mazzate? Lo può salvare lo spessore dei personaggi, da quelli principali a quelli di contorno, scritti in modo da farci empatizzare con loro, pur tutti così diversi da noi.
Il limite di Creed III, onorevolmente diretto dallo stesso interprete e sempre prodotto da Warner Bros, Michael B. Jordan, sta nel personaggio del protagonista stesso, per il quale non si è mai stata realizzata un’adeguata costruzione, tale da farci tifare, emozionare, palpitare per lui, tutti quegli stati d’animo che il buon cinema riesce a suscitare nello spettatore, per il tempo in cui lo coinvolge in storie da lui lontane.
E per generare un sussulto di nostalgica emozione, si deve accennare il mitico tema storico di Bill Conti, che occhieggia nel sottofinale. Del resto, se il giovane Creed, a sancire la riconquistata forma, invece che la mitica scalinata di Philadelphia, scala il Mount Lee, la collina del Griffith Park alle spalle di Los Angeles su cui si erge la scritta Hollywood, qualcosa vorrà dire.

Lascia anche perplessi l’inserimento del personaggio della figlioletta di Adonis, ragazzina sorda ma con l’ambizione di tirare pugni, che nel finale vedremo mimare le mosse del padre sul ring. Possiamo ipotizzare un messaggio “femminista”, per cui le donne sarebbero incoraggiate a praticare uno sport che forse sarebbe meglio non praticassero più nemmeno gli uomini?
Sempre poco simpatico, sempre leggermente ostile a priori, Michael B. Jordan anche in questo capitolo non riesce ad attirare molte simpatie. Jonathan Majors, che avevamo apprezzato come stravolto protagonista della serie tv Lovecraft Country, qui come in Ant-Man: Quantumania non riesce a comunicare molto al di là delle sue smorfie poco convincenti, mentre il suo personaggio avrebbe meritato un maggiore approfondimento, per rendere più emozionante il suo rapporto con l’ex grande amico.
Per cosa si soffre di più, per i pugni che spaccano la faccia, spezzano le costole, o per la rabbia, le incomprensioni, la solitudine, l’amarezza di una vita sprecata? Tessa Thompson fa la mogliettina indipendente ma devota. A fare da sparring partner del nuovo campione della scuderia di Adonis ritorna Drago Jr (Florian Munteanu).

Restano le valide coreografie delle sequenze di combattimento, resta il rumore dei pugni enfatizzati dal Dolby Atmos, della carne che si deforma come plastilina sotto l’urto dei pugni di potenza mostruosa, il sangue che schizza, il sudore che si nebulizza al rallentatore, gli ansiti e le urla dei guerrieri.
Perché questi incontri sono ovviamente accentuati oltre ogni limite di credibilità e i due contendenti sembrano due supereroi Marvel, invulnerabili e immortali. E infatti lo scontro finale astrae l’ultimo duello, condensando nove round su dodici in un unico combattimento furioso, con scariche di colpi di violenza irreale, su un ring quasi sospeso in un anfiteatro deserto, immerso in una metafisica nebbia.
Ci resta una riflessione su queste sequenze, che mostrano sequele di colpi che nemmeno in 100 incontri reali. Se Hitchcock diceva che “i film sono come la vita senza le parti noiose”, possiamo dire che anche gli incontri di boxe su grande schermo sono come quelli veri, ma senza le schermaglie e le finte, solo le scariche di pugni che arrivano a segno come colpi di maglio.

Come Creed 2 anche questo numero 3 non finisce nella gloria della vittoria, nel frastuono di un ring circondato da gente urlante e osannante, ma sottovoce, nel ritorno agli affetti, alla famiglia, perché, seguendo la lezione di Rocky/Sly in tutti i suoi film, quello è l’unico valore che conta.
Poi tutta la vita combattiamo, per qualcosa, contro qualcuno. Spesso però gli avversari più duri da battere sono i nostri fantasmi.
Scheda tecnica
Regia: Michael B. Jordan
Cast: Michael B. Jordan, Jonathan Majors, Tessa Thompson, Mila Davis-Kent
Distribuzione: Warner Bros
Genere: drammatico, azione