Città d’asfalto ci mostra il duro lavoro di chi per mestiere deva salvare anche chi forse non se lo merita, trovandosi nella scomoda posizione di dover giudicare.
Essere un novellino non è divertente in nessun mestiere, figurarsi essere reclute inesperte a fare servizio su un’ambulanza a New York in una zona periferica (sembra incredibile ma anche nella città miliardaria delle mille luci esistono ancora). Qui siamo nel quartiere di Brownsville, con la sua celebre sopraelevata a fare da tetto del mondo dei miserabili.
Ollie (Tye Sheridan) è un ragazzo già ferito dalla vita, in cerca di riscatto, ma tutto congiura per non permettergli lo scatto di qualità. Nella sua sede trova un ruvido mentore in Rut (Sean Penn), un navigato soccorritore, e deve affrontare un detestabile collega (Michael Pitt), che la pressione del mestiere ha incarognito.
Mentre cerca di trovare un equilibrio, di mettere qualche mattone alla costruzione di un’esistenza migliore, si scontra contro situazioni insopportabili, senza adeguato sostegno, e rischia di crollare. Ma anche quelli che sembrano più strutturati soffrono di crepe fatali.
A parte la melodrammatica messa in scena dei conflitti fra i vari personaggi, Asphalt City – Città d’asfalto offre lo spunto per una riflessione morale. Guai se in questa come in altre categorie, addette alla cura di un’umanità bisognosa, si instaurasse il “complesso di dio”.

La frenesia degli interventi di primo soccorso.
Perché forte sarebbe la tentazione di ergersi a giudici ed emettere una sentenza, decidendo chi va aiutato, chi no, chi merita e chi invece no. Certi mestieri qualcuno li deve pur fare, ma fra tanti casi di routine, ogni tanto sembra che qualcuno non sia proprio degno degli sforzi per farlo sopravvivere.
La quantità di appartenenti a varie gang, drogati, vagabondi e gente afflitta da disturbi psichici è sovrastante e i paramedici sono la prima linea buttata per strada ad affrontare la totale mancanza delle istituzioni. Il titolo originale Black Flies si riferisce alle mosche, i neri insetti che per primi avvertono il fetore di un cadavere e sembrano attratte anche da chi un poco per volta si stia lasciando andare a una deriva autodistruttiva.
Ty Sheridan, attore in forte emersione, si impegna con lode, con la sua faccia un po’ old style. Sean Penn si sta avvicinando a Tommy Lee Jones, quanto a espressione disgustata e profondità di rughe, come abbiamo visto anche nel recente Una notte a New York. Qui mette la sua professionalità al servizio di un personaggio convenzionale ma pensiamo che per lui a contare sia il messaggio finale.

Un allievo e il suo disturbato maestro.
In ruolo di contorno troviamo Katherine Waterston e Kali Rais, vista da poco come co-protagonista nella quarta stagione di True Detective. Michael Pitt riesce agevolmente a rendersi detestabile. Nel film compare addirittura Mike Tyson, un capo-squadra ben poco comprensivo.
Il regista di Città d’asfalto è Jean-Stéphane Sauvaire e la storia è tratta dall’omonimo romanzo del 2008, scritto da Shannon Burke, sceneggiata da Ryan King. In Italia è distribuito da Vertice 360. Impossibile non ricordare il melodrammatico Al di là della vita, diretto da Scorsese nel 1999 su sceneggiatura di Paul Schrader e interpretato da Nicolas Cage e anche il dimenticato Broken Vessels, che vedeva fra i protagonisti anche Todd Field, che in seguito ha diretto alcuni film, fra cui Tár.
Sauvaire non è Martin Scorsese ma si impegna, sovraccarica ed estremizza facendo però perdere efficacia a quanto di condivisibile c’è nella denuncia e nella provocazione “morale”. Alla fine ringrazia anche l’Arcangelo Gabriele, già citato nel film nelle ali che il protagonista ha ricamate sulle maniche del suo giubbotto e nel quadro con la sua immagine che tiene nella sua miserabile stanzetta.

Come spesso accade, New York si fa personaggio, qui ripresa in zone ben lontane da quelle delle commedie più glamour, niente grattacieli, turisti e locali trendy, ma notturne strade di periferia degradata, sopraelevate, lavanderie a gettone e miseri ristoranti cinesi, homeless e drogati, violenza e squallore nell’assenza del Sistema.
Che però quando si arriva all’estremo manda un paramedico in missione spesso tardiva o non risolutiva. E se uno su cento ringrazia, gli altri insultano, aggrediscono, accusano, interferiscono, rendendo molto frustrante un lavoro indispensabile. E così il film si chiude su una scritta che ricorda come sia altissimo il numero dei suicidi in quella categoria di lavoratori, che più di altri forse si trovano in situazioni in cui davvero interrogarsi sull’utilità dei sacrifici che si compiono. Dandosi spesso una risposta devastante.
Scheda tecnica:
Regia: Jean-Stéphane Sauvaire
Cast: Sean Penn, Michael Pitt, Tye Sheridan, Mike Tyson, Kali Reis, Katherine Waterston
Distribuzione: Vertice 360
Genere: drammatico