Barbie il film è la divertente e colorata messa in scena pop di una rivincita delle donne, con qualche compromesso.
I’m a Barbie girl in a Barbie world…Ma quando quel mondo non si adatta più a noi o viceversa?
La snella bambolina bionda è nata nel 1959 creata da Ruth Handler, moglie del cofondatore della Mattel, storica fabbrica di giocattoli, inizialmente mora e non snodabile, un miliardo di bambole vendute in tutto il mondo.
Barbie è diventata simbolo della cultura americana, con il suo ideale di bionda magrezza, circondata da tutti i simboli del consumismo d’oltreoceano. Nel 1961, dopo la creazione di vari amici e un’intera famiglia, le era stato anche affiancato un compagno, Ken, ragazzone atletico a volte confuso con Big Jim, stimato (chissà poi perché) assai meno della sua partner, mero accessorio stile toy boy, sessualmente “liscio” però, come del resto la sua compagna di innocenti giochi, divenuto cult per la comunità gay negli anni ’90. Si sono sposati, hanno divorziato, sono tornati insieme.
Negli anni in Mattel si sono accorti che nel mondo qualcosa stava cambiando e così sono arrivate Barbie di colore, costumi per impersonare attività professionali più gratificanti, anche accessori che si riferivano a varie disabilità. Esiste anche una Barbie con le fattezze di Samantha Cristoforetti.

Protagonista di 42 film in animazione dal 2001, 5 cortometraggi, webserie, show tv, ben protetta dal marketing, come una vera diva aveva reso irta di difficoltà la sua apparizione in Toy Story del 1995 e aveva intentato una causa al gruppo degli Aqua, responsabili della canzoncina Barbie Girl (I’m a Barbie girl in a Barbie world, life in plastic, it’s fantastic… I’m a blond, bimbo girl, in a fantasy world, dress me up, make me talk, I’m your dollie).
Figurarsi come si erano arrabbiati alla Mattel. Ma devono aver fatto pace perché la canzone echeggia nei titoli di coda (da guardare perché contengono una carrellata di tutti i modelli di Barbie realmente prodotti).
Dell’interessante soggetto, che girava dal 2009, si è impossessata adesso Greta Gerwig, attrice per anni considerata rappresentante, come interprete, del genere mumblecore, passando poi alla regia con film improntati a una variazione del concetto “girl power” in direzione me too.

Qui, alla sua quarta esperienza come regista, scrive anche la sceneggiatura, insieme al compagno/marito Noah Baumbach. Cosa ci racconta quindi, in questo suo Barbie, che visione ci trasmette di un personaggio così iconico ma si pensava ormai obsoleto, lontano dalle attuali esigenze educative eppure sempre richiestissimo anche dalle nuove generazioni?
Accudite però da genitori ancora in equilibrio fra un passato che in fondo rimpiangono e un futuro che non sembra tanto migliore e per di più è ancora più privo delle certezze (pur ingannevoli) di un tempo.
Barbie (la bambolina nella sua versione classica, bionda e modaiola, tutta party e spiaggia), vive felice a Barbieland, insieme alle sue tante sorelle di varia fattura, e ogni giorno sarà il migliore giorno possibile.

Le Barbie sono state “costruite” per sottrarre le bambine a un triste destino prefissato di casalinga, “disperata” e madre (come vedremo nel divertente prologo) e quindi svolgono tutti i mestieri possibili, compreso quello di Presidente.
I loro compagni, i vari Ken, sono meri accessori, usati come riempitivo, trattati con amichevole simpatia ma esclusi dalla loro “sorellanza”, anche se ambirebbero a qualcosa di più. Un brutto giorno Barbie, in preda a intollerabili pensieri negativi e privata di alcune sue “magiche” caratteristiche, per rimettere le cose a posto, è costretta a lasciare il suo posto incantato e andare nel Mondo Reale, a Los Angeles, dove imperano cellulite e scarpe basse e dove si trova la Casa Madre, la Mattel.
In questo viaggio si impone come suo accompagnatore Ken (anche lui nella versione basica da beach boy), che è segretamente innamorato di lei. Insieme scoprono un mondo ben diverso dal loro, che sono una coppia così naïf da suscitare negli umani perplessità e dileggio. Perché se il roseo mondo di Barbieland è pronto a emarginarti se mostri segni di “diversità”, non è che il Mondo reale sia più inclusivo.

Andranno incontro a una serie di avventure che li cambieranno profondamente, Barbie acquisterà una diversa coscienza di sé, mentre Ken, entrato in contatto con “patriarcato e cavalli”, si renderà conto del ben diverso ruolo che i maschi rivestono nel Mondo Reale e cercherà di importarlo a Barbieland.
Le “ragazze” dovranno quindi ricorrere a subdole tattiche molto femminili per riprendersi il “potere”. Barbie si rivela una spiritosa e divertente rilettura di un giocattolo iconico, nato con un messaggio virtuosamente “femminista” ma ingannevole (un po’ come le storie Disney), perché poi una volta abbandonati i giochi infantili, le bambine si trovano davanti a un mondo ben diverso da quanto promesso, dove i “Ken” hanno generalmente in mano le redini del potere, nonostante i tanti proclami virtuosi dei giorni d’oggi.
Non si pensi però a una narrazione stucchevolmente pseudo-femminista, perché non solo l’andamento è brillante e ricco di gag spassose, con costumi e scenografia sublimi, ma la conclusione della storia, in una battuta, se non ribalta la situazione, mette una vera e propria ipoteca su quanto proclamato fino a quel momento. Chi andrà a vederlo capirà, specie se donna.

E sogghignerà di gusto in certi momenti, pur con un filo di amarezza se avanti con gli anni (siamo ancora ferme lì, in fondo), con la speranza che le più giovani colgano il “messaggio”. Gerwing in effetti in un paio di occasioni sembra proprio voler fare la lezioncina, ma è un peccato veniale che si stempera nella bellezza della messa in scena.
Strepitosa Margot Robbie, valida attrice in crescita oltre che giovane donna di grande bellezza, come già si poteva notare in Babylon. Il Ken di Ryan Gosling è a tratti un po’ Zoolander, nei suoi stratosferici e assurdi look, e riesce a fare anche tenerezza, maschio tonto e insicuro anche quando monta metaforicamente in sella all’idealizzato cavallo del “patriarcato” (spassosa dissacrazione del mito della Frontiera).
Will Ferrell si ritaglia il ruolo del CEO della Mattel, misogino maschilista camuffato da progressista, abbonato alle figuracce. Kate McKinnon è la Barbie strana, divenuta così dopo gli abusi subiti da bambine degeneri (o futuri serial killer). Nel resto del cast varie facce note, America Ferrara è il personaggio con meno appeal, l’umana madre incompresa-impiegata sottoutilizzata che darà l’avvio a tutta la vicenda, nei cui proclami forse si intuisce la figura della stessa regista, autrice che vorrebbe essere indipendente ma alle prese con una Major (anzi due, Warner e Mattel).

A martirizzarla anche la figlia adolescente e necessariamente detestabile che è Ariana Greenblatt, vista di recente in 65 – Fuga dalla terra. Michael Cera si rivede nel ruolo di Allan, bambolotto uscito commercialmente sconfitto nella sua competizione con Ken. In originale la voce narrante è di Helen Mirren. Esilarante cameo di John Cena e breve apparizione della vera figlia della fondatrice Ruth Handler (che poi sarà impersonata da Rhea Perlman).
Quello che ci voleva dire Greta Gerwig, giovane donna che avrà affrontato le sue difficoltà per arrivare dove si trova, è chiaro. Quello che sappiamo noi è che il messaggio è blando, vagamente indulgente e conciliatorio, non si auspicano rotture o battaglie fra i sessi, si invita a un avvicinamento virtuoso di due diversità.
Qualche lacrimuccia nel percorso può servire al massimo a far diventare rosa il rosso di un lipstick, tanto per restare a tutti gli effetti nel mondo magico di Barbie, che giustamente esce del tutto assolta. Non smetteremo però mai di ricordare che se le brave ragazze vanno in paradiso, quelle cattive vanno dappertutto.
Scheda tecnica:
Regia: Greta Gerwig
Cast: Margot Robbie, Ryan Gosling, America Ferrara, Alexandra Shipp, Michael Cera, Will Ferrell, Kate McKinnon, Helen Mirren, Dua Lipa, Rhea Perlman
Distribuzione: Warner Bros
Genere: commedia, azione