Adagio, scritto e diretta da Stefano Sollima, ci porta in una Roma pre-apocalittica, dove il disfacimento morale si accompagna a quello dei corpi.
Adagio è un film apocalittico, perché racconta di una civiltà assediata da vari fattori, che concorrono alla sua fine. La decadenza è alle spalle, qui ormai siamo alla deriva verso la catastrofe e tutti sono chiamati a pagare il prezzo delle proprie colpe.
E se sembra che per qualcuno ci sia ancora un po’ di tempo, un po’di speranza, basta non illudersi che sia una situazione risolutoria. Un giorno anche per lui si abbatterà il castigo, divino, naturale o umano, non si sa, ma si abbatterà.
Perché a Roma, crogiolo di ogni male, sentina di ogni vizio, Babilonia nostrana, la vita, in larga parte della società, in gran parte dei quartieri, è pura sopravvivenza ferina, dove legge e ordine sono in instabile equilibrio fra delinquenti e tutori della Legge, fra cittadini e politici.
Tutto è soggetto ai soldi, con i quali si compra ogni cosa e che costano un prezzo più alto a chi non ne ha. E delinquenti comuni e tutori della Legge sono quelli che meno ne hanno ma li vogliono, li esigono.
L’ultima notte di quiete prima dell’Apocalisse.
Intanto la città, nella torrida estate, è oscurata da continui blackout sotto un cielo arrossato dagli incendi, mentre sui palazzoni popolari avvolti fra le spire di cemento di varie sopraelevate, piove cenere come a Pompei. Il ragazzo Manuel è figlio trascurato di “Daytona”, un ex boss della Magliana, che sembra rimbambito dalla demenza senile (Toni Servillo).
Quando Manuel finisce incastrato da tre Carabinieri corrotti, capitanata dal deviato Vasco (Adriano Giannini), in cerca di materiale per ricattare un politico famoso, cerca aiuto da due ex colleghi del padre, Polniuman (Valerio Mastandrea) e Cammello (un irriconoscibile Pierfrancesco Favino), tutti e due dalla salute gravemente minata.
I tre sono sopravvissuti a tempi gloriosi, finiti miseramente dopo che la vita ha riservato loro una vecchiaia ben poco ruggente, vecchi e malati, relegati in abitazioni fatiscenti, nei quartieri di una nuova periferia, dove nessuno li riconosce più.
Pierfrancesco Favino in uno dei suoi ruoli più estremi.
Sarà progressivo bagno di sangue, senza pietà per nessuno, senza indulgenza, senza speranza. Adagio, distribuito da Vision, è scritto insieme a Stefano Bises dallo stesso regista Sergio Sollima.
E che quello del regista fosse un mestiere che sa fare bene, lo ha dimostrato con i film A.C.A.B. e Suburra, oltre che nella serie Romanzo criminale e con l’esperienza americana di Soldado e della serie ZeroZeroZero.
Gran prestazione di tutto il cast che vede attori celeberrimi impegnati in ruoli che concedono loro di misurarsi con personaggi poco frequentati dal cinema nostrano.
La sfortuna di vivere senza riuscire a morire.
Toni Servillo e Valerio Mastandrea sono di nuovo nello stesso film dopo il non entusiasmante Il primo giorno della mia vita. Un sorprendente Pierfrancesco Favino, ancora con Sollima dopo Suburra e A.C.A.B., offre qui una prova di recitazione molto più convincente che nell’osannato Comandante.
Adriano Giannini, di inquietante brutalità, cerca vanamente di destreggiarsi fra il ruolo di padre severo e Carabiniere criminale, affiancato dai due corrotti colleghi, il driver Francesco Di Leva e il tecnico Lorenzo Adorni.
Il giovane quasi esordiente Gianmarco Franchini mostra un candore improbabile nella sua sconfortante incapacità di gestirsi. Unico appunto, una faticosa resa dei dialoghi (in presa diretta), che sono anche in romanesco e smozzicati, di cui ogni tanto si perde proprio qualche battuta e si invoca il sottotitolo.
La notte non appartiene più ai vecchi criminali.
Adagio è un film melodrammatico, a forti tinte, che accentua con piacere la sua cupezza, il cinismo di certi personaggi che non corrisponde a nessuna virtù in altri, se non a un vago senso di solidarietà fra vecchi compagni, che la vita ha però diviso con violenza.
Cinismo e violenza sono stati quindi il lascito avvelenato alla generazione successiva che adesso sta facendo i conti con figli adolescenti, ai quali si illude di poter evitare il peggio.
Adagio è un film che, se fosse stato girato a Los Angeles da un regista e da attori americani, sarebbe stato giudicato forse con maggiore entusiasmo, senza la necessità di rifarsi al “cinema di genere” per poter dare un giudizio positivo. Anche qualche faciloneria “tecnologica” (oggi non si può prescindere dalla tecnologia) sono accettabili, perché non sono il fulcro della narrazione.
L’Apocalisse in tangenziale?
Inoltre si potrà dire che in Italia i Carabinieri anche deviati non oserebbero ingaggiare una sparatoria in un’affollata stazione della metropolitana, mentre questo sarebbe plausibile in un film americano.
Quello che si vuole mettere in scena è il degrado “morale e materiale”, il cupio dissolvi di certi personaggi, la catastrofe naturale, l’inettitudine delle nuove generazioni (anche nel Male) e questi temi sono universali, sul Tevere o sul Pacifico.
Bella colonna sonora dei Subsonica, sui titoli di coda Califano con la sua Tutto il resto è noia. Perché se non hai la grazia di morire giovane, tocca andare avanti a trascinare una vita senza bagliori se non quelli dei depositi di spazzatura che fumano all’orizzonte.
Se non si ha la fortuna di ardere e consumarsi in fretta, l’aborrita decadenza puzza di sporcizia, di povertà, di vecchiaia, di sudore. Se non puoi vivere per sempre da leone, finirai in una baracca, finirai solo e malato, finirai. E finire definitivamente può essere la soluzione.
Scheda tecnica:
Regia: Stefano Sollima
Cast: Pierfrancesco Favino, Toni Servillo, Adriano Giannini, Valerio Mastandrea, Gianmarco Franchini, Lorenzo Adorni, Francesco Di Leva
Distribuzione: Vision Distribution
Genere: noir, drammatico, poliziesco, thriller