A Complete Unknown – Recensione

A Complete Unknown è il racconto dei primi anni di carriera di Bob Dylan, con una splendida interpretazione di Timothée Chalamet.

Ci sono personaggi il cui nome è noto anche a chi non li abbia mai apprezzati o addirittura non conosca la loro arte. Uno di questi è Bob Dylan, nome d’arte scelto dal ventenne cantautore Robert Zimmerman, originario del Minnesota, quando ha deciso di trasferirsi a New York.

Prima ancora di cominciare a parlare del film che ce lo racconta, A Complete Unknown, diciamo che si tratta di un film splendido, non una biografia, ma il racconto dei primi quattro memorabili anni, dal 1961 al ’65.

Il film è diretto da James Mangold (Logan, La Mans 66, Walk the Line), che anche partecipa a produzione e sceneggiatura (insieme a Jay Cocks, uno di spessore), a partire dal libro Dylan Goes Electric di Elijah Wald).

Ma il merito del nostro giudizio più che positivo deriva soprattutto dalla scelta del protagonista, Timothée Chalamet, che inizialmente aveva sollevato qualche perplessità, troppo levigato e mondano per esser il ruvido Bob. E invece.

Timothée Chalamet

Il cantautore è sempre solo davanti al suo pubblico.

Invece Chalamet ha studiato e si è impegnato e si incarna nel suo personaggio, senza farne una banale imitazione, che può sempre tracimare nel grottesco, restituendolo in una specie di mimesi per quanto riguarda atteggiamenti, posture, sguardi, e ovviamente voce, sia nella recitazione che nel cantato.

Ora sappiamo che ci sono “diavolerie” tecnologiche tali da far cantare l’attore sulla voce originale rendendola più vera del vero (procedimento impiegato per Angelina Jolie/Maria), ma qui si avverte proprio la tonalità della voce di Chalamet nelle canzoni e poi restano senza alcun dubbio i dialoghi, in cui l’attore riprende alla perfezione il modo di parlare di Dylan e il suo accento.

Quindi con sempre più energia, mai come in questo caso (anche se lo diciamo quasi sempre) raccomandiamo caldamente la visione in originale con sub, anche perché in questo caso sono sottotitolate anche le canzoni, i cui testi sono sempre significativi.

Timothée Chalamet

Una perfetta descrizione visiva dell’epoca.

Nel film, distribuito da Disney, lo incontriamo nel 1961, appena sbarcato al Greenwich, senza soldi, senza appoggi, in cerca del suo mito, Woodie Guthrie, che però è ricoverato in ospedale in condizioni gravi e irrimediabili.

Là incontra Pete Seeger, grande amico del cantautore, che sentendo Dylan comprende subito la sua potenzialità. Seguono quattro vertiginosi anni, immediatamente oggetto di interesse da parte dell’agente di Seeger, Albert Grossman (l’ottimo Dan Fogler) e della Columbia Records.

Poi i primi successi (che sarebbero diventati manifesti di protesta politica in quegli anni caldissimi), il riconoscimento da parte del pubblico e l’entusiasmo mal sopportato dei fan, qualche contorcimento sentimentale, l’amicizia con Seeger e con Johnny Cash e soprattutto l’ostilità verso un sistema da cui si sentiva fagocitato e che lui rifiutava.

Timothée Chalamet Elle Phanning

Il primo amore che si fa fatica a scordare.

E ad un certo punto comincia a nascondersi dietro un paio di occhiali da sole, per non farsi vedere, per mettere un filtro fra lui e gli altri. Dylan voleva essere libero di provare nuove strade musicali, nuovi stili, nuove strumentazioni, senza subire influenze non richieste.

Approda così al famoso concerto “elettrico” di Newport, dove sarà contestato da addetti ai lavori e pubblico, tutti fan “duri e puri” del folk acustico, parimenti sclerotici, in cui nel film (licenza poetica) esegue Like a Rolling Stone, canzone entrata nel mito, sotto il tiro di bottiglie e lattina.

Anche in tempi non social, la “gente” dimostra sempre la sua ristrettezza mentale. Folle infatti la pretesa da parte del pubblico di possedere un’artista, al pari degli agenti e delle case discografiche, di potergli influenzare la poetica, di fargli cantare le canzoni su richiesta.

Timothée Chalamet Monica Barbaro

Dylan e Baez, a quei tempi la bandiera della protesta politica.

Assurdo pensare di potergli imporre anche lo stile con cui eseguirle (i famosi “concerti jukebox”), da lui ferocemente avversati per tutta la vita, come ben sa chi lo abbia visto ai tempi dei suoi concerti degli anni della maturità.

Timothée Chalamet, trentenne, si conferma assai bravo a diversificare una carriera per questo motivo in ascesa, dopo i due Dune, Wonka, Bones and All, dopo l’esplosione di fama conseguente a Chiamami col tuo nome e a Una giornata di pioggia a New York.

Quanto al resto del cast, è affollato da facce note e amate. Assai ben caratterizzato Johnny Cash (Body Holbrook, travolgente) e Woodie Guthrie (Scoot McNairy, toccante), un po’ sbiadita la Joan Baez di Monica Barbaro (vista in Top Gun Maverick), che però offre una performance anche canora degna di nota.

Fin troppo ecumenico il Pete Seeger di Edward Norton. Nel personaggio interpretato da Elle Phanning si riflette la vera Suze Rotolo, prima fidanzatina di Dylan a New York, affidata all’eternità dalla copertina di The Freewheelin’ Bob Dylan, giovane donna che non vorrà rimanere a fare la vittima sacrificale di un uomo travolto da troppi problemi.

Ascoltare oggi le parole di Like a Rolling Stone (“ Come ci si sente a essere da soli, senza una direzione a casa, come un completo sconosciuto, come una pietra che rotola”) ha ancora un forte significato, l’uomo della strada qualunque anche di questi tempi messo di fronte ai times who are changing, che si sente come un “complete unknown” (malgrado i social), come una pietra che rotola, senza più la padronanza della propria vita.

Quella padronanza che Dylan invece rivendicava. Non per niente è stato l’unico cantautore a vincere nel 2016 un Premio Nobel per la letteratura. Che poi non sia andato a ritiralo, ci può stare.

Scheda tecnica:

Regia: James Mangold

Cast: Timothée Chalamet, Elle Phanning, Monica Barbaro, Edward Norton, Boyd Holbrook, Scoot McNairy, Dan Fogler,

Distribuzione: Walt Disney

Genere: biografico

Pubblicato da Giuliana Molteni

Vado al cinema dalla metà degli anni ’50 e non ho mai smesso. Poi sono arrivate le serie tv.