La serie tv 1923, il secondo prequel di Yellowstone, ci racconta le tragiche vicende della seconda generazione della Famiglia Dutton.
Abbiamo conosciuto la Famiglia Dutton nel Montana dei giorni nostri, incarnata nel patriarca John nella serie Yellowstone, personaggio che ha permesso a Kevin Costner di riprendersi un ruolo di primo piano che da qualche anno gli mancava, facendogli vincere anche un Golden Globe.
La serie è stata creata nel 2018 da Taylor Sheridan, definito ormai il “narratore della frontiera”, gran cantore dell’essenza dell’americanità, intesa come individualismo estremo, senso altissimo del territorio, rifiuto di un potere centrale visto spesso come nemico, ostilità verso qualunque innovazione.
Un classico repubblicano reazionario insomma. Tutte conseguenze di una colonizzazione sanguinosa da parte dei primi emigrati dall’Europa, costata estreme sofferenze, lutti dolorosi, sintetizzati nel famoso motto “Blood, Sweat and Tears”.
Su questa prima ondata di emigrati irlandesi, Sheridan ha scritto in precedenza il primo prequel intitolato 1883, in cui si narrava la tragica espansione verso Ovest dei primi coloni Dutton, capitanati da James. Oggi arriva anche in Italia su Paramount + il secondo prequel, la serie 1923, che vede come protagonisti altri avi del Dutton contemporaneo (le cui avventure sono trasmesse nella quinta stagione di Yellowstone, su Sky).
La notorietà conseguita ha permesso, a differenza di 1883, di avere nel cast due divi come Harrison Ford, che è Jacob, il durissimo patriarca, fratello del protagonista di 1883, e Helen Mirren, l’amatissima moglie Cara, una figura femminile forte che ha allevato amorosamente ma con rigore i nipoti rimasti orfani.
Uno di loro, Spencer, dopo le trincee francesi della Prima Grande Guerra è finito in Africa a elaborare i suoi traumi facendo il “cacciatore bianco, cuore nero”, rimasto legato al crudele ciclo vita/morte. Ma là incontra Alexandra, una donna, figlia di supponenti nobili inglesi, così diversa da lui da farlo innamorare (questa loro parentesi esotica un po’ troppo Harmony lega poco con il resto della narrazione).
L’altro, Jack, rimasto a crescere al ranch, sta per sposarsi anche lui, ma con una figlia di allevatori, più consona. Siamo negli anni della Grande Depressione, le cui conseguenze si fanno sentire anche in mezzo agli sterminati spazi del Montana, dove sembrerebbe ci fosse spazio per la sopravvivenza di molti, rispetto alle metropoli.
Così però non è perché sul territorio si consuma una crisi fra allevatori di bovini e altri considerati di livello inferiori, gli allevatori di pecore, in un’escalation di ostilità reciproca che sfocerà in ritorsioni sanguinose, come sarebbe stato fra allevatori di bestiame e agricoltori.
Siccità ed epidemie incombono più che mai e per un filo d’erba si può uccidere. In nome del diritto di pascolo, allora come oggi, il ranch Yellowstone si sente assediato dal resto del mondo, autorizzato a compiere qualunque azione legale o illegale pur di preservare un patrimonio costato i dolorosi lutti che ben conosciamo.
La Legge è sempre estranea, lontana, inefficace. La Famiglia sembra perseguitata dalla violenza ma sembra anche andarle incontro di corsa appena possibile, anche quando si potrebbero effettuare altre scelte. La mentalità è quella dell’assedio: “Tutti cercheranno di portati via quello che tu ti sei guadagnato”, i Dutton da una parte e tutto il resto del mondo fuori.
Come non vedere le radici della feroce difesa della proprietà su cui gli Stati Uniti sono stati fondati. Come cantava Woody Guthry, questa terra è la mia terra, anche se lui ben vedeva gli abusi che ne sarebbero conseguiti.
Siamo sull’orlo del proibizionismo, nella cittadina di Bozeman si asfaltano le strade per agevolare le prime automobili, è arrivata l’elettricità, si vendono i primi elettrodomestici. Ma la Frontiera è ancora lì dietro l’angolo e mai se ne andrà dai cuori dei protagonisti.
Qualunque cambiamento è visto come negativo, perché porterà a un peggioramento per il territorio, che deve rimanere intatto, preservandola dalla violenza degli interventi degli avidi affaristi che assediano la proprietà. Senza rendersi conto di avere occupato e già violato un territorio che apparteneva ai più virtuosi nativi.
L’originaria lotta per la sopravvivenza è diventata la lotta per mantenere il proprio dominio, vale solo il legame del sangue che non potrà mai essere tradito. Un messaggio primitivo ma indubbiamente efficace. Con la seconda stagione di 1923, già in produzione, ci sarà l’allaccio alla contemporaneità, al Dutton di Kevin Costner e dei suoi disturbati figli.
Lo “squalo” della situazione sarà il perfido profittatore Whitfield (Timothy Dalton), collezionista di diritti minerari, che cercherà con crudele cinismo di sfruttare la faida fra la Famiglia Dutton e gli allevatori di pecore, capitanati da Creighton, interpretato dal sempre valido Jerome Flynn, che ricordiamo in Ripper Street, Game of Thrones, Black Mirror.
Quest’alleanza contribuirà all’assedio della famiglia decimata, in attesa del ritorno dall’Africa del figliol prodigo Spencer, cui saranno affidate le speranze di sopravvivenza. La Natura, sfruttata e in tanti luoghi ben più violentata, non esita comunque a vendicarsi, appena può, indifferente alle sorti delle formiche che si agitano inferocite sulla sua superficie.
La voice over che accompagna a tratti la narrazione è quella di Elsa (Isabel May), una delle protagoniste principali di 1883. Costante nelle tre serie echeggia il bel tema musicale di Brian Tyler. Sempre molto curati costumi, scenografie e anche i titoli di testa.
Taylor Sherdian inserisce anche il tema degli abusi perpetrati dall’uomo bianco sui nativi, ormai annientati e rinchiusi nelle riserve eppure ugualmente perseguitati, con le nuove generazioni sottratte alle famiglie per estirpare la loro cultura originale, sostituendo con la violenza lingua, fede e usanze in nume di una supposta integrazione, nei fatti poi sempre respinta.
Questo tema è presente con il filone narrativo che riguarda Teonna, giovane nativa brutalizzata in un istituto-galera alla mercé di sadiche suore, in cui a volte l’autore sembra compiacersi nel mettere in scena barbari soprusi.
In questa narrazione, sono lontani i tempi degli edificanti cowboy degli anni ‘60/70, dei film di John Ford, di serie tv come Bonanza, Rawhide (Gli uomini della prateria), Una casa nella prateria, Alla conquista del West (che già mostrava maggiori durezze). Anche i film degli anni ‘60/70, da Soldato blu in poi, in cui si era cominciato a cercare di emendare le colpe nei confronti dei nativi, avevano un approccio narrativo diverso.
Taylor Sheridan, autore anche dei film Wind River, Sicario, Hell or High Water, Soldado, oltre che delle serie tv Mayor of Kingstown, The Last Cowboy e Tulsa King, è stato capace di creare un universo narrativo articolato e aderente alla realtà storica, un universo che nel suo sviluppo ci ricorda le parabole del potere di imperi e regni, di nazioni e popoli: come ci hanno insegnato gli antichi romani, quando l’impero è troppo esteso, difenderlo diventa sempre più difficile e quindi, si vis pacem, para bellum.
Inevitabilmente un grande potere attira grandi nemici e nella lotta si perde di vista quello per cui si era tanto lottato, il vero benessere, lo sviluppo della civiltà, la famiglia, la cura virtuosa della propria Legacy. Perché si rischia di ritrovarsi senza eredi cui lasciare ciò per cui ci si è scannati.
Scheda tecnica
Ideata da Taylor Sheridan
Cast: Harrison Ford, Helen Mirren, Jerome Flynn, Aminah Nieves, Timothy Dalton
Distribuzione: Paramount +
Genere: western, drammatico